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giovedì, Novembre 21, 2024

La Storia non si fa con i SE. Ma la politica si. Analisi di Alessandro Corneli

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mose-venezia-arresti
Lo scandalo del Mose di Venezia richiama ironicamente il miracolo di Mosè

di Alessandro Corneli /

È il caso di ripensare il celebre detto secondo i il quale “la storia non si fa con i SE”. Perché, trascorso un po’ di tempo, sono i fatti della politica a diventare storia, e non si può tornare indietro, questo è certo. Ma quei fatti, prima di diventare tali, erano opzioni, solo una delle quali fu scelta, ma se ne sarebbe potuta fare un’altra. Quindi nelle scelte della politica c’è intenzionalità, c’è la determinazione di volere influire sugli eventi, sulla storia che verrà scritta.

Con la scadenza certa delle elezioni del 25 maggio, Matteo Renzi, tra le opzioni che aveva a disposizione, ha scelto quella degli “80 euro”. In vista delle elezioni tutti fanno di tutto. Diciamo che l’ha azzeccata.

Prendiamo ora il caso della Procura di Venezia che il 4 giugno ha fatto scattare l’arresto per 35 persone legate alla mega-impresa del Mose. Le indagini andavano avanti da tre anni e in giro circolavano da tempo parecchie voci sulle irregolarità. Domanda: dopo oltre mille giorni di indagini, la certezza circa i numerosi reati contestati, è stata acquisita solo ieri, 3 giugno, oppure è stata fatta la scelta di dilazionare la decisione a 10 giorni dopo il voto del 25 maggio e 2 giorni dopo la celebrazione della festa della Repubblica, presentatasi con il vestito nuovo dell’accoppiata Napolitano-Renzi?

Il SE è d’obbligo: SE la decisione degli arresti fosse stata formalizzata e resa pubblica due settimane fa, il 40% dei voti, e forse anche più, li avrebbe presi il M5S poiché Grillo e i grillini erano ostili al Mose che criticavano da tempo sotto diversi aspetti; Renzi non avrebbe potuto sbandierare il 40% e Napolitano non avrebbe potuto celebrare una Repubblica un po’ diversa da quella che conosciamo: corrotta fin nel midollo, dalla politica ai diversi comparti della Pubblica amministrazione.

La Procura di Venezia ha scritto la storia, ha deciso il risultato delle elezioni del 25 maggio e di un buon tratto della vita politica. Intendiamoci: nella sostanza ha fatto benissimo, scoperchiando ancora una volta quella trasversalità cementata dal connubio denaro/potere. Non mi interessa quanto il M5S avrebbe potuto lucrare su questa vicenda se solo fosse stata resa di pubblico dominio due o tre settimane fa. Mi interessa sottolineare il fatto che il SE, che diventa un QUANDO, conta e molto. Si potrà fare una riforma della Costituzione che non solo impedisca a una Procura di determinare l’esito di una campagna elettorale ma che ponga dei principi in tema di decisioni economiche prese dallo Stato che garantiscano trasparenza e controlli paralleli allo svolgimento delle attività economiche fin dall’inizio?

Nei dettagli, il Gip Alberto Scaramuzza ha firmato l’ordinanza: arrestati il sindaco Giorgio Orsoni (centrosinistra), posto ai domiciliari, l’assessore regionale Renato Chisso e altre 33 persone, tra cui due ex presidenti del magistrato alle Acque della città lagunare. Le ipotesi di reato a vario titolo sono corruzione, concussione, riciclaggio. La GdF ha sequestrato beni per un valore di circa 40 milioni di euro. Indagato con richiesta di arresto anche l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan con l’accusa di aver ricevuto fondi illeciti per almeno 800 mila euro dal Consorzio Venezia Nuova (Cvn) nell’ambito delle opere del Mose. Le dazioni, da fondi neri realizzati dal Consorzio e dalle società che agivano in esso, risalirebbero agli anni tra il 2005 e il 2008 e il 2012. Galan, ora parlamentare di Fi, avrebbe ricevuto dal 2005 al 2011 da Giancarlo Mazzacurati presidente del Cnv, anche tramite l’assessore Renato Chisso, uno stipendio annuo di un milione di euro.

Dopo il voto del 25 maggio e le celebrazioni del 2 giugno, sono arrivate altre tre notizie drammatiche:

– La prima, a cura dell’Istat, riguarda la disoccupazione, salita al 13,6%.

– La seconda, a cura di Confindustria, riguarda la perdita per l’Italia del settimo posto tra i grandi paesi industrializzati, superata dal Brasile. Ma non è questo il punto. Il punto è la massiccia erosione della base produttiva:  una contrazione di oltre 100mila fabbriche e quasi un milione di addetti tra 2001 e 2011, proseguita nel biennio successivo: altri 160mila occupati e 20mila imprese perduti.

La terza è arrivata dalla Corte dei Conti che nel Rapporto 2014 sulla finanza pubblica ha scritto che il sistema tributario italiano è caratterizzato da un livello di prelievo eccessivo e maldistribuito, calcolando che nel 2013 la pressione fiscale era pari al 43,8% del Pil,quasi 3 punti in più rispetto al 2000 e 4 punti in più rispetto alla media UE. Secondo la Corte, l’Irpef presenta ormai dei limiti specifici e andrebbe riformata per garantire una effettiva progressività e redistribuzione dell’imposta. Di conseguenza il bonus da 80 euro viene definito “un surrogato” rispetto ad una revisione complessiva dell’imposta. Infine, il dato sull’economia sommersa: vale il 21% del Pil. Da collegare ai 50 miliardi di evasione per Iva e Irap.

SE queste tre notizie fossero arrivate qualche giorno fa…

Matteo Renzi ha qualcosa da twittare al riguardo? Per quanto si crogiolerà in quel fortuito 40% di voti che lo ha consegnato alla storia?

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