di Alessandro Corneli /
La politica è: confronto di progetti/interessi che si modificano nel tempo e occupano tutti gli spazi disponibili. Il voto del Senato che il 2 ottobre ha confermato la fiducia al governo di Enrico Letta è il fotogramma che fissa il punto a cui è giunta l’evoluzione di una fase politica iniziata una ventina di anni fa.
PARTIAMO DAL 1994
Nel 1994, fondando Forza Italia, Berlusconi compose un mosaico di sconfitti e delusi (democristiani, socialisti, critici della partitocrazia della Prima Repubblica agonizzante) e li trasformò – lui sì, non Occhetto – in una “gioiosa macchina da guerra” che ha avuto il suo massimo successo di consenso nelle elezioni politiche del 2008, quando ottenne una “maggioranza bulgara”. Poi il mosaico ha iniziato a sgretolarsi.
LA GIOIOSA MACCHINA DI GOVERNO
Berlusconi ha sempre sostenuto che le mancate realizzazioni del suo programma (trasformazione dello Stato, meno tasse per tutti, ecc.) sono addebitabili alle resistenze dei suoi alleati: di volta in volta la Lega, l’Udc di Casini, Alleanza Nazionale di Fini. Ma questo è vero solo in minima parte. La verità è che Berlusconi non aveva un vero e organico disegno politico e i suoi governi di coalizione si sono risolti in “gioiose macchine di governo” finché era possibile continuare (ripeto: continuare, perché non è stato Berlusconi l’iniziatore del vizio) a indebitarsi a basso costo, senza però mai incidere sui mali strutturali dell’Italia perché questo avrebbe fatto perdere consensi (lo stesso hanno fatto le coalizioni che hanno governato per lo stesso numero di anni a intermittenza).
2008 – 2010: CASINI E FINI SI STACCANO DALL’IMMOBILISMO POLITICO
Né Casini, nel 2008, né Fini, nel 2010, staccandosi da Berlusconi, furono mossi da grandi disegni politici. Si erano semplicemente stancati di un immobilismo politico (costruito sul vizio finanziario dell’indebitamento pubblico) dal quale non traevano vantaggi soddisfacenti. Usciti Casini e Fini, alla Lega, che aveva rinunziato a un autentico federalismo, bastava restare l’unico alleato perché questo le consentiva di strappare vantaggi residuali, come la progressiva conquista della presidenza delle Regioni del Nord: prima il Veneto, poi il Piemonte, infine la Lombardia: sarebbe stato un disegno politico (il partito del Nord), se non si fosse incrociato con la crisi economica, e alla fine si è ridotto alla gestione del potere locale senza alcun disegno.
IL MOSAICO COMPOSTA DA BERLUSCONI SI SFALDA
Adesso se ne vanno gli ultimi tasselli del mosaico composto da Berlusconi nel 1994: quelli geneticamente democristiani (come Alfano), quelli geneticamente socialisti (come Cicchitto), quelli geneticamente radical-liberali (come Quagliariello). Gli restano vicini, ancora, i maggiori beneficiari della “gioiosa macchina di governo” (come Verdini).
Il punto è che Berlusconi, come persona-leader, ha suscitato (e continua ad esercitare) speranze, ma non si è mai trasformata in una idea, in un progetto. È la differenza che corre fra un treno e un taxi nei confronti del viaggiatore. Il treno (e il macchinista) sa da dove parte e dove arriva e chi ci sale lo sa in anticipo e sa anche a quale fermata vuole scendere. Il taxi (e l’autista) non sa qualche percorso farà, glielo diranno i successivi fruitori/clienti del suo servizio: alla fine della giornata, avrà compiuto tanti percorsi, avrà soddisfatto tante specifiche richieste, ma si ritroverà al punto di partenza, al deposito o sotto casa. Questo è stato il berlusconismo, e lo sarà fino a quando il taxi non verrà messo a riposo. Aggiungiamo che l’autista di questo taxi speciale non si faceva pagare, offriva gratis la corsa e in modo confortevole, ma le amicizie che si formavano durate il tragitto non potevano essere durature, bensì solo strumentali. Per quanto comodo e con tutti i comfort, nessun cliente considera il taxi su cui sale come la propria auto. È questa la radice del senso di provvisorietà che ha caratterizzato il berlusconismo anche dopo i successi elettorali.
HA VINTO GIORGIO NAPOLITANO
Tornando all’analisi politica, e buttando nel cestino tutte le pagine dei giornali che hanno ricostruito la vicenda delle ultime ore, emerge un solo vincitore: Giorgio Napolitano (che è poi colui che Berlusconi voleva sconfiggere). Se, infatti, il governo Letta fosse caduto, dopo la fine ingloriosa del governo Monti, il Capo dello Stato avrebbe dovuto trarre le conclusioni del duplice fallimento. Adesso invece può pensare con buon fondamento che il governo Letta andrà avanti almeno fino alla primavera 2015 mentre l’incidenza di Berlusconi sulla vita politica diminuirà di giorno in giorno sotto la morsa delle sentenze, nonostante episodiche fiammate. Gradita all’Europa, la messa fuori gioco di Berlusconi, si spera che l’Europa possa essere più gentile con l’Italia.
LE COLPE DELL’IMMOBILITA’ POLITICA DEGLI ULTIMI 30 ANNI
Converrebbe a Berlusconi evitare sia la continua rivendicazione della paternità del governo delle larghe intese (imposto dagli elettori con il loro voto del febbraio scorso) sia la guerriglia nei confronti del Governo: solo così apparirà in modo chiaro a tutti la reale efficacia del governo Letta-Alfano (o del governo del Presidente). Se Berlusconi interferirà, sarà sempre facile attribuirgli la responsabilità dei limiti dell’azione governativa. Limiti che non risiedono in Berlusconi ma nella realtà italiana generata dall’immobilismo degli ultimi trent’anni (i dieci finali della Prima Repubblica e i venti della Seconda Repubblica). Letta afferma di avere una forte ma nuova maggioranza politica: aspettiamo di vedere come la utilizzerà per giudicarla senza interferenze berlusconiane. Come prima mossa, ha deciso di incontrare i sindacati, esaudendo la loro richiesta. Come ho scritto qualche giorno fa, il sindacato, che ha molte responsabilità per la crisi in cui è scivolata l’Italia degli ultimi decenni, ha anche strumenti per aiutarla ad uscirne.