ROMA – Il conflitto di attribuzione tra il Capo dello Stato e la Procura di Palermo c’è. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, dichiarando ammissibile il ricorso di Giorgio Napolitano contro la Procura di Palermo sulla vicenda delle intercettazioni delle telefonate con Nicola Mancino.
Il Quirinale aveva presentato il ricorso dopo le intercettazioni indirette di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato fatte nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
I giudici della Consulta hanno ritenuto fondato il ricorso perché Capo dello Stato e Procura di Palermo sono entrambi poteri dello Stato.
Il Quirinale sostiene che il Presidente non poteva essere intercettato e che le registrazioni dovevano essere distrutte. Secondo i pm palermitani, invece, la distruzione può essere disposta solo dal giudice per le indagini preliminari.
Le telefonate al Presidente Napolitano erano state registrate intercettando le conversazioni telefoniche dell’ex ministro Mancino, la cui utenza era stata messa sotto controllo su mandato dei magistrati palermitani. Quelle registrazioni non sono state distrutte.
Il Presidente della Repubblica, ritenendo lese le proprie prerogative garantite dall’articolo 90 della Costituzione, ha fatto ricorso alla Consulta.
La Procura di Palermo sostiene invece che per procedere alla distruzione delle intercettazioni è necessaria, in base al codice di procedura penale, un’apposita udienza, in contraddittorio, davanti al gip.