Roma, 18 apr. (askanews) – L’ordine di scuderia è quello di mostrare compattezza, sempre e comunque. Persino quando la tensione è su un tema – come quello dei migranti – su cui Fratelli d’Italia e Lega si sono costruiti negli anni buona parte del loro capitale politico. E così da palazzo Chigi è arrivato l’input di trovare a tutti i costi un accordo sul cosiddetto dl Cutro, su cui il Carroccio in commissione non ha rinunciato a presentare 21 emendamenti con lo scopo di ripristinare di fatto i decreti sicurezza di salviniana memoria, nonostante nella maggioranza si fosse arrivati a un faticoso compromesso sul tema centrale della cancellazione della protezione speciale. Norma sulla quale sin dall’inizio sono stati puntati i riflettori del Quirinale.
Alla fine, viene spiegato, l’idea a cui si lavora prevede che la Lega mantenga alcuni emendamenti-bandiera che però dovrebbero essere o sottoscritti dagli altri partiti o presentati con testo identico dagli alleati. In questo modo il provvedimento dovrebbe superare l’esame dell’aula del Senato, dove approderà senza relatore, senza che il governo debba mettere la fiducia: un passaggio che probabilmente sarà invece necessario alla Camera ma che, si sottolinea, Giorgia Meloni ha voluto evitare nella prima lettura perché non si accusasse l’esecutivo di forzature istituzionali.Se però la priorità resta dare l’idea di un governo che procede con unità d’intenti, certamente non meno importante viene considerata dalla presidente del Consiglio la necessità di battere su alcuni punti identitari per Fratelli d’Italia. E quello dei migranti è certamente uno di questi. Giorgia Meloni, raccontano, ha chiesto al suo partito di intervenire nei dibattiti, di essere presenti sempre sul tema, insomma di non lasciarlo alla mercé della Lega. Soprattutto non adesso che la presidente del Consiglio ha anche la necessità di contemperare nelle scelte di governo le trattative con l’Europa e la costante attenzione su certi passaggi del Colle.
Ed ecco l’uno due di oggi, della stessa premier e di uno dei suoi ministri più rappresentativi, il cognato Francesco Lollobrigida. Entrambi cominciano discettando di come affrontare il tema della denatalità e finiscono a parlare di migranti. In visita al Salone del Mobile di Milano, Meloni afferma infatti che il problema demografico dell’Italia e le sue ripercussioni sul Pil si risolvono “non con i migranti” ma incentivando la natalità e aumentando il tasso di occupazione femminile. Più o meno lo stesso concetto che esprime, con toni decisamente più tranchant, il ministro dell’Agricoltura che, ospite del congresso della Cisal, sostiene che “vanno incentivate le nascite. Va costruito un welfare per consentire di lavorare a chiunque di lavorare e avere una famiglia. Non possiamo arrenderci al tema della sostituzione etnica”. Parole che vengono stigmatizzate da tutta l’opposizione, a cominciare dalla segretaria del Pd, Elly Schlein, secondo cui si tratta di “linguaggio da suprematismo bianco”. Ma c’è anche chi tra gli alleati insinua il dubbio che il polverone suscitato da Lollobrigida non sia affatto casuale: “Fateci caso – fa notare un parlamentare – ogni volta che la maggioranza è in difficoltà c’è qualcuno che distoglie l’attenzione con una polemica”.