di Alessandro Corneli – www.grrg.eu –
Dopo lo screzio con il Corriere della Sera, il quotidiano di Confindustria, Sole 24Ore, è chiaramente diventato il preferito del Quirinale poiché ne riporta e illustra i pensieri più reconditi senza travisarli, ma svolgendo un’opera di supporto.
Ne è conferma l’intervento del costituzionalista Valerio Onida nell’edizione del 15 agosto. Onida fu tra i “dieci saggi” scelti da Napolitano a marzo e ora fa parte della commissione dei quaranta esperti per la riforma della Costituzione. Si può ragionevolmente supporre che il suo intervento, che ha spiegato il senso della nota di Napolitano del 13 agosto, coincida con il pensiero del Capo dello Stato. Onida non chiarisce tutto ma pone alcuni punti fermi.
Il primo punto fermo è l’esclusione che dalla decisione della Cassazione possa discendere una crisi di governo e un eventuale ricorso a elezioni anticipate. Precisa Onida ed è importante: il potere di scioglimento è prerogativa del Capo dello Stato (non si cita più nemmeno il “sentiti i presidenti delle due Camere”: e ciò è significativo), ma viene esercitata “solo quando il Parlamento si dimostri incapace o non disposto a formare una maggioranza che sorregga un Governo”. Finché c’è una maggioranza, le Camere non si sciolgono; se una maggioranza è impossibile, si devono sciogliere per forza. Significato politico: se il Pdl toglie il sostegno al Governo, se ne assume la responsabilità di fronte all’opinione pubblica, e poi non è certo che si vada a elezioni anticipate.
Il secondo punto fermo è che la sentenza definitiva “produce i suoi effetti automaticamente”, anche se non è accettata dal condannato. Tra questi effetti, “c’è la decadenza dal seggio senatoriale, in virtù della incandidabilità sopravvenuta sancita dalla legge Severino, stabilendo non una ulteriore sanzione penale per il fatto commesso, ma un requisito negativo di eleggibilità per le elezioni future”. Eliminate così le ipotesi di incostituzionalità della legge Severino, aggiunge Onida: “Comunque la decadenza e la ineleggibilità si produrrebbero egualmente fra breve in virtù della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici”.
Circa l’ipotesi del provvedimento di clemenza, che non dovrebbe comunque essere inteso come un atto diretto a contraddire la sostanza e la legittimità della sentenza, potrebbe essere giustificato da “eccezionali esigenze di natura umanitaria” o di “eccezionali ragioni di interesse pubblico: non certo per motivi di convenienza politica di una parte”.
Da seguire con attenzione il passaggio seguente di Onida: “Un intervento di ‘pacificazione’ politica, d’altronde, potrebbe in ipotesi avere un senso solo se esso sancisse la chiusura definitiva, con l’uscita del condannato dalla scena politica, della fase di scontro intorno alla figura di Berlusconi” tenendo conto “che in questo caso i fatti da cui è derivata la condanna definitiva per frode fiscale non hanno nulla a che fare con lo scontro politico nel Paese”.
Se non interpreto male le parole di Onida, la grazia comporterebbe l’uscita di Berlusconi dalla scena politica e, probabilmente, escluderebbe anche una discesa in campo della figlia Marina. È indubbiamente questo il punto su cui Berlusconi sta riflettendo dal momento in cui ha avuto il testo della nota di Napolitano.
Prosegue il costituzionalista: “In ogni caso, lo ricorda Napolitano, la grazia inciderebbe solo sull’esecuzione della pena principale, non sugli effetti della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, e tanto meno sugli effetti ulteriori derivanti dalla legge sulla incandidabilità”. Ovvero: Berlusconi deve bere fino in fondo la cicuta. Poi si vedrà.
“Oggi – conclude Onida – ciò non servirebbe a evitare l’effetto immediato della decadenza dalla carica parlamentare per effetto della incandidabilità sopravvenuta e, domani, per effetto della interdizione dai pubblici uffici che nel frattempo diverrebbe operante. Il Senato non potrebbe certo differire la dichiarazione di decadenza in vista di un evento futuro e incerto”. Ciò chetaglia corto sull’ipotesi di guadagnare qualche settimana.
Il 16 agosto, il presidente della giunta per le Immunità del Senato, Dario Stefàno, ha detto che “ai sensi delle prescrizioni introdotte con la legge cosiddetta Severino del 2012 il senatore Berlusconi risulta incandidabile per almeno sei anni”.
Mentre si alternano voci sull’intenzione di Berlusconi di chiedere, o viceversa di non chiedere, la grazia, è certo che la sofferenza maggiore del fondatore di Forza Italia è quella di doversi trattenere, di non prendere e far conoscere una decisione. Al punto che, impietosamente, e un po’ ingenerosamente, il commentatore Ugo Magri, della Stampa, ha scritto che “l’unica certezza su Berlusconi è che cambia opinione (e strategia) numerose volte al giorno, spesso in ragione dei propri interlocutori”.
Di fatto, con il passare delle ore, e ora dei giorni, la nota di Napolitano si riduce a un ultimatum a Berlusconi: abbandoni la scena politica. Il che coincide con l’analisi a caldo di quel testo che ho pubblicato la sera del 13 agosto. Ma questo non vuol dire che Berlusconi accetterà di farsi da parte.