A cura di Alessandro Corneli – www.grrg.eu
Da tempo circolano voci sulle preferenze di Giorgio Napolitano sul nome del successore. Oggi, 5 marzo, il Corriere della sera le ha, per così dire, ufficializzate. Il punto di partenza è una “esclamazione-auspicio” dell’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, David Thorne: “Magari rimanesse Napolitano…”. Questo ratifica una cosa nota: almeno le maggiori potenze non sono indifferenti all’esito della guerra per il Quirinale. Lo è sempre stato, come le piccole potenze fanno il tifo per i candidati alle spreme cariche nelle maggiori potenze.
Ma nel seguito dell’articolo viene fuori qualcosa di diverso: “Non è un mistero che Napolitano confidi in una diversa soluzione, più volte lo hanno sentito spendersi sul nome di Amato”. L’affermazione è molto credibile per diversi motivi. Consideriamoli senza ordine d’importanza.
Giuliano Amato, pur essendo stato eletto in Parlamento nelle liste del PD e avendo un’origine lontana nella Cgil, è stato poi il braccio destro di Bettino Craxi e ne ha facilitato, di fatto, la liquidazione politica. Ma mentre era a fianco del leader socialista concluse operazioni di vasta portata: rinegoziò il Concordato con la Santa Sede, dando soddisfazione parziale sia al Vaticano sia al mondo laico; influenzò le nuove regole sulle telecomunicazioni senza smantellare il potere politico-clientelare della Rai ma allo steso tempo consentendo alle reti di Silvio Berlusconi di affermarsi su piano nazionale; modificò, d’intesa con Carlo Azeglio Ciampi, la legge bancaria e connessa legge sulle Fondazioni bancarie, che hanno consentito sia gli sviluppi che hanno portato alla costituzione della Banca centrale europea sia i riassetti bancari nazionali mantenendo le interferenze ella politica; ha partecipato alle privatizzazioni, di cui hanno beneficiato alcuni gruppi importanti italiani e stranieri, ma ha limitato le liberalizzazioni, di cui invece c’era parallelo e urgente bisogno. Una sistematica condotta di doppio binario che, dando un colpo al cerchio e uno alla botte, gli ha consentito di emergere come abile mediatore di interessi, ma senza scelte nette e incisive e di lungo periodo.
La forza di Amato è nella sua debolezza in quanto non ha un bacino elettorale proprio, non ha un partito. Se si pensa al Capo dello Stato (prossimo futuro) come a un soggetto che non ha una famiglia politica di appartenenza cui rendere favori, è l’ideale. Perché favori li ha fatti un po’ a tutti, ma a nessuno in modo determinante. Tutti possono aspettarsi da lui qualcosa ma nessuno è in grado di condizionarlo. E se, come è probabile, gli italiani dovranno sostenere altri pensanti sacrifici, avallati dal Quirinale, dove Amato non resisterebbe alla tentazione di emettere continui moniti, appelli e quant’altro, nessuno potrebbe stabilire una relazione tra i sacrifici e il Quirinale e nessuna forza politica, responsabile di quei sacrifici al Governo in Parlamento, potrebbe essere accusata di avere contribuito all’elezione di Amato.
A Giuliano Amato guardano anche coloro i quali, non essendo candidabili o non potendo sostenere in modo realistico i propri candidati del cuore, vogliono almeno che non salga un loro avversario ”viscerale”. Così, ad esempio, Berlusconi non vuole Prodi, e sui giornali trapela la sua propensione per la soluzione Amato. Walter Veltroni, che entrerebbe in depressione se al Colle salisse D’Alema, preferirebbe Amato perché, come ha affermato in un’intervista a La Stampa (4 marzo), ha detto che “per il Colle occorre una figura come Ciampi: rigore, modernità, altissimo senso di responsabilità, prestigio internazionale e acume politico”: tutte o quasi tutte doti che Amato può vantare. Dopo Ciampi, laico senza partito; dopo Napolitano, post-comunista anomalo e migliorista – Amato andrebbe bene come italiano di modeste origini che si è fatto da sé navigando tra gli scogli.
Amato, a differenza dei suoi predecessori, avrebbe sicure competenze qualificate in tema di riforme istituzionali alle quali il Quirinale non potrebbe restare indifferente. Oggi il sistema istituzionale italiano è in piena confusione: potrebbe prendere la strada del presidenzialismo o del semipresidenzialismo come negli Stati Uniti o in Francia; potrebbe potenziare i poteri del capo del Governo, come in Germania, Spagna o Regno Unito; potrebbe restaurare un parlamentarismo meno partitocratico. Amato, già rappresentante dell’Italia quando si cercò di elaborare una Costituzione per l’Europa, e con la pregressa esperienza delle velleità riformatrici di Craxi, e dopo l’esperienza della Seconda Repubblica, avrebbe tutti gli elementi per esercitare una influenza determinante specie avendo a che fare con i modesti apprendisti stregoni delle riforme costituzionali emersi negli ultimi vent’anni nel Pd e nel Pdl.
Napolitano dette un importante segnale di preferenza verso Amato quando si trattò di nominare un presidente per il Comitato dei garanti per le celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia: dopo le dimissioni di Ciampi, l’onore toccò ad Amato. Il decreto fu firmato da Berlusconi con il pieno consenso del Quirinale il 12 maggio 2010. E non si deve dimenticare che già sette anni fa Amato fu vicino all’elezione, ottenendo in cambio il titolo onorifico di “riserva della Repubblica”. Le iniziative molto personali di Napolitano delle ultime settimane, che nonostante le apparenze non facilitano un accordo tra le forze politiche e invece prolungano lo stallo, possono essere considerate una manovra per costringere le forze politiche ad evitare di dilaniarsi sul nome del suo successore e obbligarle a scegliere rapidamente Amato. In questo senso vanno anche le sue reiterate dichiarazioni di non volere una rielezione. La tattica è di fare apparire Amato come il naturale successore di Napolitano nel segno della continuità per convincere coloro che invece auspicano una rielezione dello stesso Napolitano.
Non c’è dubbio che Giuliano Amato sia di livello superiore ai suoi concorrenti, ma proprio questo giustifica la frenesia politica in corso. Con Amato al Quirinale, per molti politici si chiuderebbero i giochi e si avvierebbe una ricomposizione/concentrazione di poteri favorita dalla debolezza dei partiti, dei sindacati, del mondo imprenditoriale nonché dalla spossatezza generale, economica e psicologica, dell’opinione pubblica.
In questa prospettiva dell’elezione di Amato si deve leggere il tentativo fatto oggi da Repubblica di rilanciare in grande stile la candidatura di Gustavo Zagrebelski: Vedi articolo “Quirinale: La Repubblica lancia Zagrebelski”.