A cura di Alessandro Corneli – www.grrg.eu –
Ammettiamolo: le elezioni politiche del 24-25 febbraio e le elezioni presidenziali del 18-20 aprile sono state come una lunga crociera, una vacanza in ci tutti hanno fatto tutto quello che desideravano, pensando che fosse possibile fare qualsiasi cosa. Poi la crociera è finita e la quotidianità ha ripeso il sopravvento, con tutti i suoi problemi e tutta la sua mediocrità. Resta una coda: la formazione del Governo.
Su questo punto, Giorgio Napolitano ha già messo le cose in chiaro e meglio le chiarirà lunedì 22 aprile nel discorso che seguirà il giuramento. Ricevendo la comunicazione della sua (ri)elezione dai presidenti di Camera e Senato, ha detto: “Lunedì dinanzi alle Camere, concordando in questo senso la convocazione della seduta comune, avrò modo di dire quali sono i termini entro i quali ho ritenuto di potere accogliere in assoluta limpidezza l’appello rivoltomi ad assumere ancora l’incarico di Presidente. E preciserò come intenda attenermi rigorosamente all’esercizio delle mie funzioni istituzionali”.
Notare l’ultima frase: “Preciserò come intenda attenermi rigorosamenteall’esercizio delle mie funzioni istituzionali”. Con queste parole, che fanno perno sull’avverbio “rigorosamente”, Napolitano fa cadere le suggestioni presidenzialistiche o semipresidenzialistiche. Si atterrà alle prescrizioni della Costituzione, “la più bella del mondo”, la “Costituzione nata dalla Resistenza”, ecc. In chiaro: i contenuti delle decisioni politiche spetteranno al Governo. Se saranno decisioni gradite all’opinione pubblica o sgradite, la responsabilità ricadrà solo e soltanto sul Governo, non sul Quirinale. Chi auspicava che Napolitano prendesse in mano la situazione, resterà deluso: se ne lava le mani. Come è corretto che sia, stante la Costituzione.
Il Capo dello Stato non ha intenzione di sovvertire il sistema costituzionale italiano. Non gli interessa un aumento dei poteri del Governo, non una riforma della Corte costituzionale o del Consiglio superiore della magistratura. Al più, la legge elettorale, ma questa riguarda i rapporti di forza tra i partiti: decidano loro in base ai loro calcoli di convenienza.
Tra le prerogative “rigorosamente” spettanti al Presidente della Repubblica, c’è la nomina del capo del Governo e dei ministri su proposta del presidente del Consiglio. Il nome che circola con maggiore insistenza è quello di
Giuliano Amato, un senza-partito, con sicure e sperimentate conoscenze economiche e giuridiche, ben noto anche all’estero. L’ideale per prendere misure severe sostenuto da una larga maggioranza, almeno all’inizio; assai più attrezzato di Mario Monti in campo dialettico, senza alcun bisogno di cercare un’immagine nuova.
C’è un ricorso storico. Amato divenne presidente del Consiglio alla fine della Prima Repubblica (era il 1992) e il debito pubblico era all’incirca il 120% del Pil; e ora, vent’anni dopo, sarà probabilmente il capo del Governo che ratificherà il fallimento della Seconda Repubblica, quella del bipolarismo e dell’alternanza, con il debito pubblico un po’ al di sopra del 120% del Pil. Amato ripercorrerà passi già noti: vendita di quel poco che resta dello Stato (allora conveniente per la svalutazione della lira, adesso conveniente per la caduta delle quotazioni di Borsa), manovre (tasse), forse prelievi sui depositi (allora nottetempo, adesso con il crisma della Ue), ovviamente di coloro che non si saranno già messi in salvo. Se non sarà Amato a guidare le danze – poiché la sua maschera è usata – sarà qualcun altro, anche se un po’ più comunicativo di Mario Monti. Qualche riforma fumosa non mancherà.
Formato il governo ci saranno alcune questioni spinose da risolvere. Secondo prassi, la presidenza di alcune Commissioni parlamentari permanenti (anzitutto il Copasir, Commissione per il controllo parlamentare dei servizi segreti) dovrebbe andare all’opposizione, cioè al M5S. Uso il condizionale poiché non escludo che si trovi qualche cavillo interpretativo per evitare, in questo caso, il rispetto della prassi. Sarà un segnale importante da seguire e interpretare.
Per i primi mesi di questa nuova fase, l’unico fatto politico interessante da seguire sarà il processo dissolutivo del Pd. Anche se una parte di esso si dissocerà dalle larghe intese, non sarà decisivo. I problemi cominceranno a sorgere all’inizio del 2014 quando il venticello delle elezioni europee (giugno 2014) comincerà a spirare: un venticello che potrebbe essere rafforzato dal desiderio di altri partiti di andare al voto anticipato, soprattutto se nel frattempo sarà stata approvata una nuova legge elettorale. Ma io credo che Napolitano non intenda sciogliere le Camere prima di un paio di anni. Farà come Scalfaro: aspetterà il momento opportuno perché le elezioni si svolgano in modo da favorire uno schieramento. Che non sarà né quello di Berlusconi né quello di Grillo. Per cui bisogna scontare il fatto che, dopo avere assaporato il successo nella vicenda della rielezione di Napolitano, Berlusconi comincerà ad agitarsi.
Resta infine il M5S. Dominus dell’opposizione, soverchiante il Sel di Vendola e una eventuale formazione separata dal Pd, dovrà scegliere tra una linea di contrasto dall’interno delle istituzioni o dall’esterno. La prima sarebbe la più produttiva se, ad ogni decisione del governo delle larghe intese, saprà contrapporre una proposta alternativa specifica e non generica; la seconda lo metterebbe a rischio di essere accusato di comportamenti ai limiti della legalità, antidemocratici, ecc. Ancora ignoriamo le risorse culturali e intellettuali del M5S: è un capitolo coperto.
Sullo sfondo di tutto questo, il contesto europeo e internazionale, soprattutto economico (e speriamo solo economico). Niente di nuovo fino a settembre, cioè fino alle elezioni politiche tedesche. Poi si vedrà. Rispetto all’epoca della fine della Prima Repubblica, la situazione generale è molto peggiorata. La riserva di promesse di novità è esaurita, come ha dimostrato l’esperimento del governo Monti. E l’usato non è più tanto sicuro.