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Il Quirinale e l’art. 67 – Riflettiamo insieme ad Alessandro Corneli

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Il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano
Il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano

A cura di Alessandro Corneli

Stimolato dall’articolo apparso ieri (19 marzo) sul Corriere della sera a firma del costituzionalista Michele Ainis, oggi (20 marzo), un altro illustre costituzionalista, Ugo de Siervo , è intervenuto su La Stampa circa i poteri presidenziali in ordine alla formazione del Governo e, pur essendo più comprensivo nei confronti del Quirinale, ha ammesso che “a stretto rigore, la fase delle consultazioni non sarebbe obbligatoria, dal momento che nel testo costituzionale non se ne parla”.

Ora, immaginiamo che la delegazione di un partito, in occasione delle consultazioni quirinalizie, dopo un legittimo giro d’orizzonte sulla situazione politica, alle sollecitazioni del Capo dello Stato risponda di non potersi impegnare in nessun modo sulla fiducia a un eventuale Governo in base all’art. 67 della Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Ovvero: nessun segretario di partito o capo di gruppo parlamentare può assicurare che i deputati e i senatori appartenenti all’uno o all’altro daranno il loro voto in un senso o nell’altro. Non c’è vincolo di mandato, nemmeno di fronte al presidente della Repubblica.

Non ho alcuna simpatia per Pier Luigi Bersani né per il suo partito, ma gli riconosco il diritto di aspirare ad ottenere un mandato pieno, secondo una interpretazione stretta della Costituzione, per formare un governo poiché sarà poi il Parlamento a dargli o negargli la fiducia.

Qui è in gioco la natura del sistema politico italiano: parlamentare, come è descritto e prescritto dalla Costituzione vigente, o presidenziale. Resta intatto il potere del Capo dello Stato di “nominare” chi ritiene più opportuno: Bersani, Grasso, Saccomanni, Luca Cordero di Montezemolo, il commissario della nazionale di calcio Prandelli o Adriano Celentano. Ma esula dai suoi poteri porre la condizione dell’esistenza di una maggioranza parlamentare precostituita, che potrebbe comunque liquefarsi in base al’art. 67. Una cosa è il potere di garanzia e altra cosa è un potere politico che sembra rivendicato al di là del dettato costituzionale.

Ovviamente il Capo dello Stato ha pieno diritto ad avere una sua personale visione della situazione politica. Ad esempio, può ritenere preferibile (per l’Italia) che è meglio che resti – anche per i soli affari correnti – l’attuale governo Monti, dimissionario, anziché avere, tra un paio di settimane, un governo Bersani che non ottiene la fiducia ma resta in carica per gli affari correnti in quanto entra in funzione con il giuramento, prima del voto delle Camere. Questo diritto gli deriva non in quanto egli partecipi alla politica nazionale ma in quanto la Costituzione gli dà il potere di nomina del presidente del Consiglio.

Se qualcuno non rispetta le regole, tutti si sentono liberi di non rispettarle. Allo stesso modo è infondata la richiesta del Pdl di avere un Capo dello Stato “di garanzia”: è il Parlamento, allargato ai rappresentanti regionali, che elegge il presidente della Repubblica (art. 83) e nulla è detto circa la maggioranza – larga o ristretta – che lo elegge, nulla è detto che si debba tenere conto degli equilibri tra maggioranza e opposizione. Gli accordi e le intese non sono vietati, ma alla fine prevale il dettato costituzionale. Per uscire da queste strettoie non resta che modificare la Costituzione, ma sempre secondo le regole già definite (art. 138). Questo è lo Stato di diritto.

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