La stessa persona, Mario Monti, ha rilasciato, il 18 novembre scorso, due dichiarazioni che è difficile collegare ma che illustrano la schizofrenica situazione politica italiana. La prima: “E’ il momento di comprare in Italia”; la seconda: “Non garantisco sull’Italia dopo il voto” . Tutti i giornali le hanno riportate. Presumiamo quindi che siano autentiche.
La prima dichiarazione è stata contestualizzata come rivolta, dal Kuwait, agli investitori dei ricchi Paesi mediorientali, proprio nel momento del riacutizzarsi della crisi tra Israele e Palestinesi. Il ragionamento di Monti è stato costruito sui numeri: il calo di valori borsistici rende molto appetibili numerose imprese italiane, e anche gli immobili non sono da trascurare. Insomma: l’Italia è il saldo e chi può è invitato ad approfittarne. La scelta a favor di potenziali investitori arabi dovrebbe evitare la caduta di aziende italiane in mani tedesche o francesi o di altro paese europeo. Almeno nell’immediato, poiché gli investitori arabi potrebbero poi rivendere e non ci sarebbe più niente da fare. Il pericolo immediato che compri un tedesco e poi chiuda la fabbrica in Italia, ereditandone il mercato di vendita, è scongiurato. In fondo Monti è un sostenitore pieno e convinto del mercato e che questo comporti la rinunzia a una politica industriale gli è indifferente. Se i l sistema bancario nazionale è riluttante a fornire capitali alle imprese, ben vengano i capitali esteri.
La seconda dichiarazione è stata contestualizzata nella sempre più confusa situazione politica interna dopo che sembra essere stato raggiunto un accordo di compromesso sull’election day per il 10 marzo. Il presidente Giorgio Napolitano ha posto due condizioni: che si approvi la manovra finanziaria che si faccia una riforma elettorale. Viene subito da chiedersi: altrimenti che cosa succede? Si rinviano sine die le elezioni? Evidentemente non è possibile. A quali livelli salirebbe lo spread in un Paese occidentale con la democrazia sospesa anche formalmente?
Il punto è che a Napolitano non è riuscita la manovra di Oscar Luigi Scalfaro del 1994-1996. Il governo presieduto da Lamberto Dini creò le condizioni perché nel 1996 si svolgessero le elezioni politiche anticipate con la prospettiva certa di una vittoria del centrosinistra, assicurata dal fatto che la Lega aveva deciso di correre da sola, e approfittando della legge elettorale di allora, il Mattarellum. Il governo Monti, invece, non ha creato, almeno finora, le condizioni per una riorganizzazione del panorama politico: obiettivo del resto impossibile dal momento che le tre componenti in competizione diretta (Pd, Pdl e Udc) avevano deciso di appoggiarlo.
Con l’avvicinarsi della scadenza elettorale, cui si sono aggiunte le crisi e quindi le elezioni regionali di Lombardia e Lazio e l’esplosione del Movimeno5 Stelle di Beppe Grillo, i rapporti fra i tre partiti della “strana” maggioranza si sono increspati. Il Pd, che gode di un certo vantaggio in base ai sondaggi, vuole assicurarsi il premio di maggioranza e vuole che sia il più alto possibile; l’interesse del Pdl e dell’Udc (o della nascente formazione centrista pro-Monti) è opposto: solo evitando che il Pd con l’alleato Sel conquisti una larga maggioranza si potrà condizionarlo fino al punto di mettere in discussione la nomina di Pierluigi Bersani alla presidenza del Consiglio.
È proprio questa nascente formazione centrista pro-Monti, che fa capo a Montezemolo e Riccardi, puntando sulla continuità di Monti a Palazzo Chigi, turba i sonni del Segretario del Pd che cerca in tutti i modi di avere dagli alleati presenti e futuri la promessa che alla guida del governo andrà il leader del partito o della coalizione che avrà conquistato più voti. I giochi però sono tutt’altro che fatti. L’elettorato del Pdl – in parte fedele e in parte andato a ingrossare le fila dell’astensione o del Movimento di Grillo – deve essere ancora spartito. Tutto, quindi, può ancora accadere. Soprattutto grazie alle frasi sibilline di Mario Monti.
Fonte www.grrg.eu di Alessandro Corneli