La manovra più dolorosa degli ultimi anni affronterà dalla prossima settimana la prova di fuoco del Parlamento tra contestazioni delle opposizioni, critiche delle parti sociali, ultimatum della Lega e fronde interne alla maggioranza. Per il centralino di Villa San Martino ad Arcore (dove il premier ha passato la settimana di Ferragosto, dedicata alle cure di un fastidioso problema ad un braccio) sono passate le telefonate di ministri, esponenti della maggioranza, leader delle parti sociali che Berlusconi ha ascoltato per sondare la possibilità di modificare alcune misure che non lo convincevano ed aveva accettato sotto l’urgenza di dare una risposta immediata ai mercati e alla Bce.
Il premier a tutti ripete che le decisioni prese il 13 agosto hanno salvato il Paese da una situazione drammatica. I titoli di Stato italiani erano investiti da un’ondata di vendite, il rischio di una deriva «greca» era fortissimo. «Abbiamo varato una manovra di tale portata in 4 giorni – è il bilancio del presidente del Consiglio -. Era la condizione indispensabile perché la Banca centrale europea scendesse in campo a difenderci sui mercati. Noi abbiamo fatto il nostro dovere e la Bce è intervenuta ed ha bloccato la speculazione sul nostro Paese. Un risultato importante».
Il premier si rende conto però che dopo i giorni dell’emergenza, sono partite contestazioni a raffica sui contenuti della manovra. In particolare sul contributo di solidarietà che colpisce quel ceto medio che le tasse le paga fino all’ultimo centesimo e in gran parte aveva votato per il centrodestra. I malumori nel suo stesso partito stanno crescendo. Il presidente del Consiglio ha spiegato a tutti i suoi interlocutori che in Parlamento si può aprire ora una fase diversa.
Le pensioni di anzianità, insieme al contributo di solidarietà, sono sicuramente il nodo più intricato della partita nella maggioranza. I parlamentari «frondisti» del Pdl chiedono a gran voce di intervenire, la Lega ancora ieri ha ripetuto il suo no. Ma dietro le rigidità ufficiali forse qualcosa si sta muovendo. C’è un pressing costante su Bossi e sugli altri leader leghisti per fare qualcosa anche su questo fronte. La linea del premier punta ad un provvedimento che porti a 100 la quota (somma dell’età più gli anni di contributi) per andare in pensione di anzianità, una misura che porterebbe praticamente alla scomparsa del ritiro anticipato dal lavoro. E qualcosa deve essere messo in cantiere per anticipare la data (ora il 2028) in cui le donne che lavorano nel settore privato andranno in pensione a 65 anni come gli uomini. Al Parlamento viene affidato il compito di verificare se questa strada è percorribile. «Sto ragionando con Bossi su questo punto», fa sapere il premier che confida sulla disponibilità che avrebbe dimostrato l’altro importante leader leghista, Roberto Maroni, che gode di un buon seguito tra gli eletti del Carroccio.
Se le pensioni di anzianità non sono più un tabù, allora potrebbe essere affrontata più tranquillamente la modifica di quel contributo di solidarietà che colpisce chi supera i 90.000 euro di reddito. Una tassa che il premier sta esaminando con numeri, grafici per verificare quale è il suo impatto reale. «Le cifre vere da pagare, introducendo anche il quoziente familiare, sono molto più basse di quelle riportate in questi giorni – dice Berlusconi -. Il contributo peserà davvero sui contribuenti che dichiarano dai 200.000 euro in su, circa 84.000 persone». Con misure alternative, si ragiona a Palazzo Chigi, sarebbe meglio toglierla di mezzo («è solo una piccola parte della manovra») per sgombrare il campo da quella che questi italiani che le tasse le hanno sempre pagate vivono come un’ingiustizia. «È un punto che va lasciato al Parlamento – aggiunge il presidente del Consiglio -. Certo avremo la resistenza di quelle parti sociali che volevano che anche i ricchi piangessero un po’…». Così come va lasciata al confronto tra senatori e deputati la decisione di farla durare tre anni oppure due come era stato detto inizialmente prima della sorpresa annunciata dal ministro dell’Economia Tremonti.
Misure alternative? Ma quali? Il nuovo tentativo sulle pensioni d’anzianità innanzitutto. L’aumento di un punto dell’Iva, che vede in trincea i commercianti ma trova la disponibilità di un ampio fronte di forze sociali e parlamentari, e qualche ulteriore provvedimento sui costi della politica. Il premier è favorevole alla proposta di dimezzamento del numero dei parlamentari, lanciata da Sergio Romano in un editoriale sul Corriere della Sera : «È la mia idea da sempre. Per me la Camera deve avere 300 deputati e il Senato 150 eletti», afferma.
Berlusconi, nonostante la tempesta politica, non sembra temere per la tenuta della maggioranza e del suo partito. «All’interno del Pdl – dice – non c’è alcuna confusione. I cosiddetti frondisti sono molto legati a me, mi telefonano tutti i giorni. Sono certo che seguiranno le mie indicazioni». È sicuro anche che la sua maggioranza reggerà fino alla fine della legislatura: l’idea di dimettersi prima del 2013, come richiesto ripetutamente dalle opposizioni, non lo sfiora minimamente. Anche perché il premier spera ancora in un’intesa con l’Udc di Casini. Un partito che, nelle sue considerazioni, non potrà mai allearsi con Bersani, Vendola e Di Pietro, a meno che non voglia perdere una parte consistente dei suoi elettori.
A preoccuparlo sono invece di più i mercati. Le Borse continuano a franare, insensibili a ogni azione e a ogni pronunciamento dei leader mondiali. A Berlusconi non è piaciuta la proposta di tassare le transazioni finanziarie avanzata dal presidente francese Nicolas Sarkozy e dal cancelliere tedesco Angela Merkel. L’idea – ricorda il premier – era già stata bocciata dal G20, averla rilanciata ha aggravato i timori dei mercati, già spaventati dal rischio di una nuova recessione dell’economia Usa. «Che senso ha proporre una tassa di questo genere quando gli operatori con un semplice clic possono spostarsi su un’altra piazza borsistica?», si domanda. La caduta di Piazza Affari, con gruppi come Enel, Eni, Unicredit e Intesa che hanno visto crollare il valore delle loro azioni, rende poi concreto un altro pericolo: grandi aziende italiane possono finire nelle mani di qualche gruppo straniero che può approfittare dei prezzi da saldi di fine stagione.