di Alessandro Corneli /grrg.eu
All’incontro con il corpo diplomatico, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha confermato di essere sul punto di lasciare il Quirinale. Ha infatti parlato di “imminente conclusione del mio mandato presidenziale”. Formula enfatica? Tono apocalittico? Linguaggio profetico? Allarmismo di fine imminente del mondo (politico)? Niente di tutto questo: solo melodramma. Una stucchevole melina alla quale è stata data una mano di vernice europeistica: si dimetterà all’indomani della fine del semestre di presidenza italiana della Ue, cioè dopo il 13 gennaio 2015.
Matteo Renzi, più volte elogiato, si dice sicuro che l’elezione del suo successore non presenterà difficoltà, grazie all’esperienza del 2013. Può darsi che abbia un asso nella manica: allora, tutto bene. Ma se non ce l’ha, sarà difficile non ripercorrere i noti passi. Si dice che, parlando alle Alte autorità dello Stato, Napolitano abbia spezzato una lancia a favore dell’attuale ministro dell’Economia, Padoan, che sarebbe gradito all’Europa e che potrebbe andare d’accordo con Renzi se questi smetterà di pretendere che l’Europa cambi verso. A Napolitano che lascia, senza avere promulgato alcuna di quelle riforme che ha invocato per quasi nove anni, Renzi spera di offrire in regalo un accordo dell’ultimo minuto sulla legge elettorale che però, secondo le ultime notizie, non potrà essere applicata prima del settembre 2016 (mese in cui Silvio Berlusconi compirà 80 anni e forse avrà deciso come lasciare andare Forza Italia).
Finita la pantomima, dopo che Napolitano avrà lasciato, tornerà in auge il vecchio detto: “Tutti sono utili, nessuno è indispensabile”. Passate le celebrazioni, resi gli omaggi, tutti si volgeranno verso il nuovo inquilino del Quirinale, che avrà davanti a sé sette anni e non avrà alcun interesse a una riforma costituzionale che riduca, anche di poco, i poteri presidenziali.
Ora lasciano questo melodramma e passiamo a chi fa storia. Papa Francesco, nel giorno del suo 78° compleanno, il 17 dicembre, ha ricevuto l’omaggio del presidente americano Barack Obama e del leader cubano Raoul Castro, i quali gli hanno riconosciuto gran parte del merito dell’inizio della fine della contrapposizione politica, diplomatica e, progressivamente, economica tra Usa e Cuba. Papa Bergoglio, infatti, ha agito con determinazione per avvicinare le due parti, con ciò anticipando i tempi. Ha così duplicato il successo di un anno fa, quando bloccò l’intervento militare in Siria, non certo per salvare Assad, ma per consigliare altre vie meno cruente.
Oggi, 18 dicembre, ha giocato ancora d’anticipo su una questione delicatissima. Tra poco più di due anni, nel 2017, cadrà il quinto centenario della Riforma luterana che spaccò la Chiesa occidentale. Ricevendo la delegazione della Chiesa evangelica luterana tedesca, ha detto: “Nel 2017 i cristiani luterani e cattolici commemoreranno congiuntamene il quinto centenario della Riforma. In questa occasione, luterani e cattolici avranno la possibilità per la prima volta di condividere una stessa commemorazione ecumenica in tutto il mondo, non nella forma di una celebrazione trionfalistica, ma come professione della nostra fede comune nel Dio Uno e Trino. Al centro di questo evento ci saranno dunque la preghiera comune e l’intima richiesta di perdono rivolte al Signore Gesù Cristo per le reciproche colpe, insieme alla gioia di percorrere un cammino ecumenico condiviso”.
Senza dubbio la ricorrenza risveglierà non sopiti rancori, ma Papa Francesco – ripeto: giocando d’anticipo – ha tagliato l’erba sotto i piedi di chi volesse rinvigorirli. Se si pensa alle ancora recenti (e superficiali) polemiche tra le performance economiche dei paesi di matrice protestante e quelle dei paesi di matrice cattolica (i paesi latini o più in generale mediterranei) e le ripetute critiche del Papa a un’economia finanziaria che trasforma gli uomini in adoratori del denaro, e se a questo si unisce anche la sua condanna dell’estremismo religioso, si possono cogliere gli elementi di un grande disegno offerto ai detentori del potere politico ed economico (e militare). Senza pantomime o melodrammi.