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Europa, schiavitù per debiti: “il debitore è schiavo del suo creditore”.

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L'Europa e le sue catene
L’Europa e le sue catene

Introduzione a cura di Fabio Gallo – direttore editoriale/

Non c’è dubbio sul fatto che questo mondo sia fallito insieme al suo attuale modello di gestione dell’economia. Si avverte sulla pelle il vento dell’intolleranza segno di un progresso al contrario che qualcuno amministra magistralmente. ma probabilmente i conti non tornano neanche all’amministratore e ora il mondo sta precipitando nell’abisso delle mille intolleranze e, chi ha un minimo di coscienza, avverte il pericolo dietro la sua porta. Stiamo perdendo ogni logica perché non rispondiamo più alla nostra coscienza. Ad una coscienza “umana”. Sappiamo tutti che quando la discesa è tale da non rendere sicuro nessun appiglio, si scivola in caduta libera e si diventa schiavi di regimi e poteri che, inevitabilmente, portano alla rovina. Il prof. Alessandro Corneli – noto esperto di geopolitica – torna con una sua riflessione che in questo particolare momento ci aiuta a comprendere meglio dove stiamo andando.

di Alessandro Corneli /grrg.eu/

Schiavitù per debiti. È una legge antica, in Grecia come a Roma, che provocò crisi sociali, politiche e costituzionali. Perché “il debitore è schiavo del suo creditore”. Ma, paradossalmente, nessun legame è così solido come quello che lega debitore e creditore. È vero che il primo vorrebbe scioglierlo e scappare, ma il secondo lo rafforza con tutti i mezzi, legali e, talvolta, illegali. Perché i debiti si possono fare in modo legale, essenzialmente con gli istituti che concedono credito, e che hanno dalla loro la legge dello Stato per recuperare quanto spetta a loro. Ma possono ricorrere al ricatto: come hanno fatto le banche americane nei confronti dello Stato federale: se non dà i soldi (ovvero acquistano i titoli tossici) falliscono, e tutta l’economia americana va a rotoli. E hanno avuto soddisfazione, almeno per il momento. Quanto al sistema creditizio illegale, esso è gestito dalla piccola e dalla grande criminalità e ruota intorno all’usura. I creditori non ricorrono a mezzi legali, ma alla violenza pura e semplice, grazie allo Stato quando esso non ha la forza o la volontà di contrastare il fenomeno.

Ora, Mario Draghi, che siede al vertice della suprema istituzione di credito europea, la Bce, ha riproposto l’apologo di Menenio Agrippa, che risolse la rivolta dei debitori nell’antica Roma, e ha adottato, per indicare il rapporto contrattuale che vincola debitore e creditore, un nuovo termine: condivisione. Commemorando il centenario della nascita del prof. Federico Caffè, misteriosamente scomparso nel 1983, ha detto: “La nostra esperienza mostra che la condivisione della sovranità nazionale è condizione necessaria per una fiducia duratura nel disegno del nostro comune viaggio europeo». Più in particolare: “Ogni legame duraturo vuole una solida base di fiducia reciproca. I paesi dell’Eurozona, in questi anni, hanno rafforzato i loro legami e allargato la base di fiducia su cui poggiano: una politica monetaria comune, regole di bilancio comuni, ora una vigilanza bancaria comune e presto anche un mercato di capitali comune». Infatti, secondo Draghi, la questione non è “perdere la sovranità, quella l’hanno persa i Paesi troppo indebitati, ma di acquistarla condividendola con altri Paesi dell’Eurozona”.

In altre parole, il debitore resta debitore, ma “condivide” questa sua situazione con il creditore, che resta creditore. Su entrambi, si stende il potere sovrano della Bce. A vantaggio di chi? Draghi non lo dice, ma è evidente. Ci sono alcuni Stati, sull’orlo dell’insolvenza, che turbano il sonno dei creditori. Ecco allora la Bce che, sostituendosi agli Stati, con molta maggiore forza, dà la sua garanzia: i debitori pagheranno. Ciò grazie ad un sistema di vigilanza della stessa Bce che riguarderà tutti i crediti concessi dalle banche, tutte, grandi e piccole, alle imprese e, come si dice, alle famiglie, cioè per gli investimenti e per il consumo. In fondo, agli Stati si chiede di rinunziare al loro potere sovrano di fare rispettare i contratti che vengono conclusi tra soggetti che operano all’interno del suo ordinamento giuridico.

Trascuro il fatto che ciò amplierà, di sicuro nel breve termine, forse anche nel medio termine, quanto al lungo termine “saremo tutti morti”, l’area del credito illegale. Mi interessa invece la prospettiva “sovietica” di una centrale di pianificazione del credito, che senza dubbio sarà più efficace del Gosplan e sarà altrettanto incontrollata e non democratica. Finalmente la finanza – la classe dei possessori del denaro o del credito che dir si voglia – metterà sotto controllo totale l’economia produttiva. Così deciderà quale territorio (Regione o Stato) potrà avere credito per fare che cosa; deciderà quali imprese potranno continuare a produrre, ottenendo credito, e quali no; deciderà che cosa i cittadini potranno acquistare a credito e che cosa no. Così verrà istituzionalizzata la burocrazia più economica, più efficace e più implacabile di tutti i tempi. La divisione internazionale del lavoro (in Europa) non sarà decisa dal mercato, con buona pace dei liberisti più o meno radicali, dei nostalgici dei corpi sociali intermedi, della libertà di scelta individuale.

Che cosa c’è sull’altro piatto della bilancia? Presto detto: l’ordine. Un’idea che entusiasma qualsiasi generazione di mediocri. Perché l’ordine ingloba (o annega?) la solidarietà e si auto-identifica con la giustizia. E si trasforma in sicurezza. Ora, è noto che, tra libertà e sicurezza, tutti i mediocri scelgono la sicurezza. I farisei stanno sempre dritti e compatti in prima fila. Oggi si chiamano europeisti.

A conferma della visione “bolscevica” c’è la dura accusa di Draghi contro la piaga della disoccupazione: in effetti, nella ex Urss non c’erano disoccupati.La finanza promette piena occupazione, a quale prezzo è facile intuire.

C’è una sola grande personalità istituzionale che si oppone all’incipiente dittatura della finanza: papa Bergoglio, che non a caso ha scelto il nome di Francesco. Quali siano le difficoltà che incontra, è cronaca di ogni giorno.

A LONDRA QUALCUNO INIZIA A RIFLETTERE E SPUNTA LA GIUSTA POLITICA DI PAPA FRANCESCO

Ma il quotidiano Avvenire segnala che a Londra, sede della City, qualcuno che ama la libertà ha cominciato a riflettere su queste tematiche. Riporto la notizia.

È la Dottrina sociale della Chiesa che può garantire la via di uscita dalla crisi del 2008. A sostenerlo è Clifford Longley, già corrispondente religioso del Times e del Daily Telegraph nonché commentatore della BBC, in uno studio intitolato «Just Money: How Catholic Social Teaching can redeem capitalism», ovvero «Denaro giusto: come la dottrina sociale cattolica può redimere il capitalismo».

Racconta Longley ad Avvenire: «Sono coinvolto da tre anni nell’iniziativa voluta dall’arcivescovo cattolico Nichols nella City di Londra intitolata «Un piano per un mondo degli affari migliore» (www.blueprintforbusiness.org). Si tratta di una serie di convegni per diffondere il punto di vista cattolico tra gli uomini d’affari che, di solito, sono occupati con i piccoli dettagli della vita economica e si concentrano nella massimizzazione del profitto per gli investitori e gli azionisti. La crisi economica del 2008 ha dimostrato che questo mondo ha fallito e li ha costretti a un ripensamento. È per fornire loro una risposta che ho scritto questo documento. Il centro di studi religiosi londinese “Theos” ha sponsorizzato questa ricerca e una dozzina di economisti e accademici mi hanno aiutato indicandomi la giusta direzione e correggendo alcuni errori.

Perché ritiene che la Dottrina sociale cattolica spieghi la crisi economica del 2008 e possa in qualche modo fornire gli antidoti per evitare un suo possibile ripetersi?

Dagli anni Settanta e Ottanta l’ideologia prevalente, nelle economie anglosassoni, sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti, è stata una fede cieca nel libero mercato che, libero dalla qualsiasi intervento statale, avrebbe prodotto ricchezza per tutti. Punto di vista proposto da Friedrich Hayek, l’economista austriaco che ha lavorato con i governi di Canada e America e ha firmato «Verso la schiavitù». Per Hayek la competizione è la legge base della vita economica. Già nella «Rerum Novarum», prima enciclica sociale della Chiesa, Leone XIII criticò queste teorie, dicendo che gli uomini sono, per loro natura, sociali, mettendo al centro la persona e invitando operai e padroni a collaborare per evitare scontri. Questa tensione, tra Dottrina sociale della Chiesa e neoliberalismo si è riproposta con la crisi del 2008. Dimostrando che il libero mercato, lasciato a sé stesso, finisce per mettere il profitto al primo posto, travolgendo così le persone.

Pensa in particolare a quel prodotto del capitalismo spinto che è la finanza speculativa?

Il prezzo al quale i prodotti finanziari che hanno il dato il via alla crisi venivano comprati e venduti non aveva nessun rapporto con qualsiasi valore del mondo reale. Valevano semplicemente quello che qualcun altro era disposto a pagare per essi. Gli operatori che promuovevano questi prodotti sapevano di imbrogliare, ma, all’interno di un sistema che poneva al primo posto il denaro, questo non era importante. A metterlo in luce con chiarezza è stata l’enciclica di Benedetto XVI «Caritas in veritate», che ha sottolineato come la crisi del 2008 sia stata soprattutto una crisi di valori. Il mercato, lasciato a sé stesso, aveva divorato il capitale sociale, ovvero l’onestà degli operatori finanziari, la fiducia che nutrivano gli uni verso gli altri e la consapevolezza che avevano di servire, col loro lavoro, la comunità alla quale appartengono.

Proprio i valori che oggi la City in qualche modo tenta di recuperare?

Sì. Oggi nel cuore finanziario di Londra si legge e si discute la Dottrina sociale cattolica. Il governatore della Banca di Inghilterra, Mark Carney, cattolico praticante, ha recentemente affermato che, come qualunque rivoluzione divora i suoi bambini, così anche il fondamentalismo del mercato, senza controlli, può divorare il capitale sociale, un capitale essenziale per il dinamismo di lungo termine del capitalismo stesso.

La segnalazione è importante. Essa ci dice che la logica di Draghi è la logica della finanza. Posso ammettere che ci sia, sottostante, il disegno di fare dell’Europa una superpotenza finanziaria. Ma la sovranità si esaurisce qui? Anche ristrutturando la potenza produttiva dell’Europa, grazie all’unione bancaria e relativo controllo sull’economia (e la politica), dove e come assicurarsi le materie prime e l’energia necessarie? Con la guerra? Ma, allora, l’Europa deve diventare anche una superpotenza militare. Pace all’interno e guerra all’esterno per la prossima generazione? Occorre una logica alternativa

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