di Alessandro Corneli / grrg.eu
Matteo Renzi si sta accorgendo che, dopo avere conquistato Firenze, non basta conquistare Roma. La vera partita è a Bruxelles e il biglietto per l’Europa passa per la scelta del ministro dell’Economia, che poi è il vero capo del Governo nella misura in cui ha la fiducia di Bruxelles. Berlusconi non aveva un ministro dell’Economia con queste caratteristiche e per questo motivo non godeva della fiducia dell’Europa, la quale era facilitata nel suo compito di non dargliela. Più in generale, dall’area di centrodestra non sono emersi personaggi in grado di avere la fiducia dell’Europa.
Diversa la posizione dell’area di centrosinistra che ha messo in campo Prodi, Ciampi, Monti, cui si può aggiungere Draghi. Più Napolitano, che ha avuto il suo proficuo passaggio al Parlamento europeo e oggi ripete a Matteo Renzi che non può prescindere dall’Europa. Secondo le indiscrezioni giornalistiche, il Capo dello Stato farebbe pressioni per una conferma di Saccomanni. Renzi non ha nomi propri da spendere: gli “economisti” del Pd, come Fassina o Barca, non stanno dalla sua parte: il primo, perché ha una visione diversa da quella centrista che si è messa addosso il presidente incaricato; il secondo, perché viaggia all’interno di un suo progetto globale che prevede una patrimoniale da 400 miliardi di euro ed è convinto che, tra un mese, si scoprirà che dietro Renzi c’è il nulla per cui non vuole bruciarsi.
Le priorità annunciate da Renzi sul cuneo fiscale, la burocrazia e il lavoro sono o non risolutive o non immediate. La sola cosa che può portare a termine è la riforma della legge elettorale, su cui pesa l’ombra di un accordo privilegiato con Berlusconi e il parallelo irrigidimento di Alfano che non vuole rischiare di sparire con il suo partito dalla prossima Camera. La riforma del Senato richiede tempi lunghi, e lunghissimi quella del Titolo V perché modificherebbe troppi interessi consolidati.
Salario di solidarietà, massicci e rapidi pagamenti da parte della PA alle imprese, taglio vero del cuneo fiscale, soluzione del problema degli esodati, riforma del Fisco e della PA sono sogni ad occhi aperti che non possono essere esorcizzati da battutine del tipo: “mi sono venuto a noia”. Pensa forse di cavarsela con qualche battuta con Angela Merkel, con Barroso e Rehn, con Draghi? Con Napolitano non ha funzionato. Se vuole cavarsela pagando un prezzo contenuto, dovrà accettare la conferma di Saccomanni, che in sede di Consiglio dei Ministri porterà i diktat dell’Europa. Ma rischia di essere emarginato se dovrà accettare il vero candidato di Napolitano, e cioè Giuliano Amato, che potrà recuperare pieno credito in Europa se garantirà di fare la super-patrimoniale, diventando di fatto lui il Capo del Governo, in attesa di succedere a Napolitano. Così anche Berlusconi sarà emarginato definitivamente: favorendo la conferma di Napolitano, ha solo guadagnato tempo, non amici. Amato si comporterà con lui come si comportò con Craxi.
Renzi potrebbe avere una via d’uscita: rinunziare all’incarico, denunziando le pressioni, e costringere così Napolitano a sciogliere le Camere utilizzando la legge elettorale uscita dalla Consulta, cioè il proporzionale puro e semplice che consentirebbe a tutti i partiti di contarsi per quello che valgono senza correzioni artificiose. Renzi non conquisterebbe la maggioranza assoluta, ma vincerebbe le elezioni con largo margine e potrebbe scegliere gli alleati per fare un governo di coalizione, resistendo alle pressioni dell’Europa e influendo sulla scelta del successore di Napolitano per trovare poi al Quirinale un alleato e non un padrone.
Dovrebbe fare quello che non fece Berlusconi nell’estate del 1994, dopo avere trionfato alle elezioni europee di giugno: allora, per poche settimane, ebbe l’Italia in mano. Si lasciò sfuggire l’occasione, rassegnandosi a una lunga fase di vivacchiamento con alterne vicende. Avrà Renzi questa forza? Al momento, c’è da dubitarne.