di Alessandro Corneli
In Italia, il bipolarismo non ce l’ha fatta. Ha lasciato l’odore, che per sé non è né gradevole né sgradevole. Ma lascia tracce che emergono nella difficoltà che i partiti principali hanno mostrato nel a trovare il Nemico. Nel bipolarismo, era facile.
Silvio Berlusconi ha tentato una straordinaria capriola, che avrebbe annullato la negatività che aveva accumulato nel periodo immediatamente precedente e seguente alle sue dimissioni nel novembre 2011: indurre Mario Monti ad assumere la leadership di “tutti i moderati”. Non gli è riuscita ma, essendosi più degli altri identificato nel bipolarismo, ha imboccato rapidamente la strada: il Nemico è Bersani, ultima incarnazione del Nemico di sempre, la sinistra. Poiché l’odore del bipolarismo è ancora disperso nell’aria che respiriamo, questa scelta gli sta portando risultati: i sondaggi registrano un suo recupero.
Pierluigi Bersani avrebbe preferito la logica bipolare. Non a caso, ha fatto di tutto per rallentare una modifica della legge elettorale: il Porcellum gli andava e gli va benissimo (come a Berlusconi). E così è andata. Aveva cominciato da lontano, dal convegno di Vasto, quando aveva stretto a sé Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. Poi si è accorto che i due alleati toglievano voti al Pd, e allora ha dovuto fare una scelta: si è tenuto Vendola e ha lasciato Di Pietro andare alla deriva. Le dimissioni di Berlusconi, il pronto appoggio al governo tecnico, hanno consentito a Bersani di recuperare punti nei sondaggi sulle intenzioni di voto, e questo gli ha dato coraggio fino a fargli accettare delle primarie libere in cui Matteo Renzi gli ha dato del filo da torcere, almeno nella prima tornata. Gli sarebbe piaciuta un’intesa di non belligeranza con Monti, ma come giustificare di fronte al suo elettorato il voto del Pd a favore di tanti provvedimenti pesanti varati dal governo tecnico? La tentazione è stata forte di combattere su due fronti: contro Monti e contro Berlusconi, ma la consapevolezza di correre un grave pericolo lo ha fermato. Così, alla fine, ha dichiarato: il Nemico è Berlusconi, responsabile di tutte le difficoltà presenti e future. Un bipolarismo di ripiego, un trinceramento di sicurezza.
Bersani deve però registrare il fatto che,per Vendola, suo principale alleato, il Nemico è Monti. Anche per Antonio Ingroia il Nemico è Monti. Entrambi pescano sul serbatoio dell’ala sinistra del Pd. Ma Vendola sta dentro l’alleanza, Ingroia è fuori e contro, e punta espressamente sulle contraddizioni del Pd. Pungolato dalla “grande stampa”, Bersani ha detto “no” alla patrimoniale, ma Venìdola e Ingroia la vorrebbero. L’idea bersaniana di rimodulare l’Imu avrebbe qualche possibilità se, dalla dichiarazione di principio, scendesse a qualche numero.
E Mario Monti? A secondo di come andranno le elezioni e di come si formerà il governo, le analisi sulla sua campagna elettorale si sprecheranno.Verrà fuori o come un genio o come un ingenuo. Intanto è già possibile dire qualcosa. Anzitutto ha fatto un po’ di vuoto intorno a sé: Passera si è defilato, o è stato costretto a defilarsi: un concorrente alla premiership in meno. Poi la Lista Monti ha attirato consensi, svuotandole, sia dall’Udc di Pierferdinando Casini (ridotto al 4%) sia da Fli di Gianfranco Fini (che oscilla intorno all’1%). Quindi Monti ha detto che, poiché il centrosinistra è “sinistra” e il centrodestra è “destra”, il futuro è lui: delle riforme, della ripresa, della riduzione delle tasse, della modifica dell’Imu, del no al redditometro (e anche del no al Quirinale). Una sfida a tutto campo, una guerra su due fronti, un ripudio netto e coerente del bipolarismo. Ma fino ad oggi i sondaggi non lo premiano: dal 12% al 15%. Che possa portare via voti a destra e a sinistra è difficile: il suo serbatoio è il circa 30% di elettori che al momento sono ancora decisi di non andare a votare. Ma ,se cambieranno idea, si sparpaglieranno, lasciando inalterati i rapporti proporzionali. Qualche battuta arrogante, qualche battuta fuori dalle righe mentre le reiterate accuse al governo “precedente” dimostrano che l’odore di bipolarismo penetra anche nelle fila montiane.
Per Beppe Grillo non ci sono problemi: il Nemico è tutti. Non solo i partiti ma anche i sindacati, eccetto la Fiom. Il leader del Movimento 5 Stelle ha rotto un tabù: nessuno, in Italia, aveva mai attaccato le confederazioni sindacali che si sono subito ricompattate e che probabilmente si impegneranno maggiormente nella campagna elettorale. Però Grillo ha toccato un nervo scoperto del sistema-Italia. L’attacco ai sindacati gli poterà il consenso di chi pensa che essi abbiano avuto non poche responsabilità nel declino industriale del Paese e nel ritardo con cui sono state fatte alcune riforme. Dai picchi del 16-18%, Grillo è sceso al 10-12% ma il fronte aperto sui sindacati potrebbe portargli altri consensi.
Infine, per quanto i partiti abbiano un po’ ripulito le liste dei candidati eliminando alcuni cosiddetti impresentabili, e per quanto enfatizzeranno questa operazione, la gente sa che non erano questi quattro o otto gatti ad affondare le finanze pubbliche. L’operazione potrebbe dare risultati inferiori alle aspettative o risultare controproducente.
Fonte GR&RG