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Il rischio di elezioni truccate

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di Alessandro Corneli

La notizia, data dai giornali del 17 gennaio, di un incontro “segreto” tra Mario Monti e Pierluigi Bersani, il cui oggetto sarebbe stato un accordo di desistenza in alcune Regioni per consentire al Pd e al Centro di conquistare con maggiore facilità un certo numero di seggi, è stato smentito, ma ha allarmato Pierferdinando Casini che si è sentito scavalcato da Monti e ha provocato nette prese di distanza da accordi di tal genere da parte di Antonio Ingroia e Antonio Di Pietro. Ragion per cui la segreteria del Pd ha cominciato a dare qualche riconoscimento ai seguaci di Matteo Renzi che, secondo diversi osservatori, potrebbero spostare i loro voti sul Centro e ridurre l’ampiezza del successo di Bersani.

Come se non bastasse la distorsione creata dal premio di maggioranza, l’ipotesi di intese pre-voto per sfruttare al massimo la legge elettorale accentua l’impressione che queste elezioni, doverose ma politicamente inutili, potrebbero anche essere truccate da questo genere di accordi. Non c’è però da scandalizzarsi. Dai vertici dei partiti sono sempre passate agli elettori parole d’ordine da attuarsi nelle cabine elettorali. Il desiderio dei leader si incontra con quello dei militanti e degli elettori. È inutile illudersi sulla distinzione tra partiti, elettori e istituzioni. La democrazia è congegnata per tenere insieme questi tre elementi e ciascuno di essi trae il proprio profitto.

Televisione e radio, giornali e new media, comizi in piazza o al chiuso, manifesti. e-mail, sms, twitter e face book, siti e blog, accuse e promesse, sono funzionali al voto di scambio che, dalle preferenze all’interno di una singola lista, adesso è diventato un negoziato diretto tra interi partiti: non si può né vietare né fermare tutto questo. Illudersi che a tutti i candidati sia concesso lo stesso spazio comunicativo, che tutti i candidati si limitino ad illustrare i propri programmi in modo preciso e dettagliato, che gli elettori si trasformino in severi e implacabili giudici come quelli che assistono alle gare di ginnastica alle Olimpiadi è – appunto – pura illusione. Perché, dietro i partiti e i candidati, ci sono masse di tifosi che aspettano il gol e i premi del dopo-partita. Certe illusioni possono essere giuste, ma restano illusioni.

Non può essere altrimenti se si pensa che chi vince, collocandosi al vertice dello Stato o degli Enti locali, gestisce per alcuni anni la metà del Pil, ovvero la ridistribuisce con un occhio di riguardo per coloro che gli hanno consentito di vincere. Si può restringere questa quota, ma non annullare. Dovrebbe esistere un corpo intermedio di funzionari dello Stato e degli Enti territoriali formalmente e sostanzialmente estraneo alla politica per garantire una meritocrazia ex ante e un giudizio corretto ex post nella gestione del denaro pubblico. Ma non c’è perché la democrazia lo ha divorato, lo ha assimilato, ne ha fatto carne della sua carne.

La democrazia è il sistema per cui una parte, quella maggioritaria, rappresenta il tutto e, grazie a questa rappresentanza, gestisce il tutto, anche se a prevalente vantaggio di una parte. Dietro le belle parole e i principi costituzionali, questa è la realtà. In questa fase storica di riduzione della sovranità degli Stati, le classi politiche elette si accontentano di fungere da mediatori tra i poteri trans-statali e i cittadini che pensano di essere i detentori della sovranità. Il gioco vale la candela perché i mediatori sanno sempre come ricavare per sé qualche vantaggio.

Fonte GR&RG

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