Mentre l’ex ministro Ponzo fa il suo ingresso a testa bassa nell’aula di tribunale c’è un silenzio pregno di significato. Qualcuno sorride sommessamente ricevendo gomitate dai vicini, altri scuotono la testa contriti. Quel filo che mantiene la spada di Damocle in perfetto equilibrio sulla testa dell’uomo, viene reciso di colpo.
Il giudice non fa preamboli, non argomenta la propria decisione. Annuncia solo con semplice solennità la parola “Colpevole”. Ad appena due giorni dalle dimissioni del ministro, il processo termina in un boato di applausi, di foto, di fischi. Qualche uomo fuori dall’aula si abbraccia, altri alzano i pugni in segno di vittoria, una voce su tutte esplode: “Tu sei solo il primo!”.
Fabio Ponzo, in carica da due anni, ha accettato con pacata sottomissione la sentenza, rimanendo in silenzio anche quando gli agenti della polizia penitenziaria hanno chiuso le manette intorno ai suoi polsi. «Può dunque dirsi “giusta” una società al cui interno il meccanismo regolatore delle controversie e dei conflitti risulta pressoché inceppato?» si può leggere nel Rapporto Italia ’90. Ponzo sapeva a cosa andava incontro quando ha comprato ventidue mega-appartamenti in giro per il mondo utilizzando i soldi del partito? E quel suo nome, spuntato per caso nelle intercettazioni telefoniche per lo scandalo del calcio-scommesse? O ancora una partita di droga misteriosamente comparsa nel bilancio annuale del ministro… a nulla sono valse le giustificazioni, a nulla è servito il sostegno degli altri partiti. E quella frase, pronunciata poco prima delle dimissioni ufficiali: “Io non sono che la punta di un iceberg”, lascia ancora un senso di sconforto, l’amaro in bocca. Le maggiori testate giornalistiche hanno parlato di “segreto di Pulcinella”, considerando la corruzione e la torbidezza del mondo politico un dominio pubblico.
Eppure, il 13 giugno 1992, nella veglia di preghiera per Falcone la gente del popolo pronunciò con fierezza queste parole «Ci impegniamo a non adeguarci al malcostume corrente, prestandovi tacito consenso, perché “così fan tutti”». Le persone hanno il diritto di sapere che “legalità” non è una parola priva di significati concreti e pregnanti, e hanno il dovere di combattere la corruzione che dilaga nel Paese «L’ inosservanza della legge è abitudine, costume. Non fa notizia. Non desta scalpore né scandalo.», eppure talvolta necessitiamo di casi eclatanti come questo per renderci conto del pessimo traguardo che abbiamo raggiunto.
Il confine tra legalità e illegalità risulta ormai mera illusione, non esiste limite invalicabile, non c’è più giusto o ingiusto. Spesso ci si arroga il diritto di trasgredire la legge con l’unico scopo di adeguarsi alla massa, ottenendo in cambio tacita approvazione. Non è una novità che autorità e personaggi dello show-business operino in modo del tutto illegale, utilizzando questi metodi per aumentare la propria popolarità. Illegale è sinonimo di affascinante, ingiusto è sinonimo di seducente. Questa volta ad essere finito sotto i riflettori è stato un uomo che rivestiva una carica politica, ministro della giustizia. E se davvero lui non è che la punta dell’iceberg, è in crisi la sicurezza che si da’ tanto per scontata. «Tutti si sentiranno legittimati a vivere calpestando i diritti degli altri.» dichiarava Gherardo Colombo, parlando di una società priva di principi fondamentali di legalità, si hanno le prove tangibili che la mela è marcia dall’interno, lo Stato è corrotto, il Paese vuole giustizia. I politici e la politica necessitano di controlli approfonditi, la fiducia si sta dissolvendo. Fuori dal tribunale, un manipolo di ragazzi. Indossano una maglia bianca e su di essa, a lettere cubitali, un grido stampato in rosso:
“Non siete Stato voi ! ”