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sabato, Novembre 23, 2024

Don Ennio Stamile: Processo Ghota rito abbreviato.

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Don Ennio Stamile

Finalmente è finita! Una delle campagne elettorali più squallide della nostra storia repubblicana, l’abbiamo definitivamente archiviata. Il solito cliché, ormai arcinoto a noi italiani, anche quest’anno è stato proposto con rigorosa parcodicio che prevede che ad ogni intervento ne segua uno diverso e con il medesimo tempo. A dire il vero, a me personalmente sono sembrati tutti uguali, nessuna differenza! Ormai sono diversi anni che i partiti hanno perso di vista la Politica, scalzata da populismo imperante, inciuci, cordate, corruzioni, cambio di casacche al miglior offerente e … chi più ne ha più ne metta. Per chi si sforza di credere che la Politica, come ricordato in altre occasioni, “è la forma più alta ed esigente della carità”, lo spettacolo lascia un’amarezza profonda ed un desiderio ancora più profondo che essa torni ad essere, pensiero, visione, confronto, partecipazione, capacità di ascolto delle esigenze e dei bisogni dei cittadini ed immigrati, impegno costante per una società più giusta e solidale, libera da mafie e corruzione. Sono caparbiamente ostinato e convinto che questo desiderio si realizzi proprio a partire da questa terra di Calabria, che sta sperimentando più di ogni altra Regione il fallimento dei partiti e delle coalizioni, ne sono convinto per ciò che sento e che vedo. Sento in molti il desiderio di una sorta di Alleanza Sociale che metta assieme le forze sane presenti in ogni dove, libere da qualsiasi appartenenza, competenti ed animate da un’unica passione: agire per il bene comune. Vedo questo fermento negli occhi di quei tanti calabresi che ogni giorno ho la fortuna di incontrare. Questa scialba campagna elettorale ci ha fatto perdere di vista, tra l’altro, anche quello che è successo pochi giorni orsono a Reggio Calabria dove si è concluso il rito abbreviato del processo “Gotha”, che sintetizza cinque diverse inchieste ed altrettanti processi: “Mammasantissima”, “Sistema Reggio”, “Fata Morgana”, “Reghion”, “Alchimia”, che si è concluso con 28 condanne a pene variabili da 4 mesi a 20 anni di reclusione ed 11 assoluzioni. Il gup Pasquale Laganà ha dato lettura della sentenza in aula bunker, dando ragione all’impianto accusatorio portato avanti dai pm Musolino e Lombardo, frutto di un paziente e tenace lavoro della procura reggina fino a poco tempo fa retta da Federico Cafiero De Raho, ora chiamato a dirigere la procura nazionale antimafia. Questa sentenza, sebbene sia la prima e riguarda unicamente coloro che hanno chiesto il rito abbreviato, è di capitale importanza per il prosieguo dell’intero processo, non solo perché conferma l’impianto accusatorio, ma altresì perché riconosce l’esistenza di quella sorta di “masso-‘ndrangheta”, della quale si parlava da anni ma solo in ambienti molto ristretti. Una sentenza che inizia ricostruire la struttura della ’ndrangheta con particolare riferimento alle infiltrazioni e ai condizionamenti sulla pubblica amministrazione, l’economia e la politica. La mafia calabrese, quindi, si caratterizza, secondo la puntuale ricostruzione della procura, anche per la presenza di una struttura direttiva occulta che opera in sinergia con l’organo collegiale di vertice denominato “Provincia”, alla quale la struttura riservata fornisce indicazioni e scelte strategiche, “allevando” i referenti in seno alle istituzioni, determinando l’elezione di uomini di fiducia in diverse fasi elettorali. Gli uomini prescelti dalla criminalità organizzata per fare carriera “politico-‘ndranghetista” – aveva dichiarato in illo tempore il procuratore Cafiero De Raho – vengono tenuti continuamente sotto rigida osservazione, per vedere se meritano la fiducia della criminalità organizzata. Negli atti dell’inchiesta si fa riferimento alle elezioni comunali del 2001, alle amministrative del 2002 (comunali e provinciali), alle elezioni europee del 2004, alle regionali del 2005, alle provinciali del 2006, alle comunali del 2007, alle europee del 2009 e alle regionali del 2010. In molte parti della Calabria questo ferreo controllo da parte delle ‘ndrine locali non credo sia cambiato purtroppo. Finalmente la “zona grigia” ha iniziato a perdere il colore plumbeo dal quale per anni è stata coperta. Ciò che emerge è solo spazzatura, anzi parafrasando una frase molto colorita ma del tutto appropriata di Peppino Impastato… “una montagna di merda”. Sarà solo l’inizio, ma già ne avvertiamo l’olezzo.

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