a cura di Adriana Musella/
Il ricordo di un dolore sara’ sempre dolore. Fa male! Parlando di mio papá ancora oggi non riesco a non essere emotivamente coinvolta. Ma la memoria e’ un imperativo categorico. Sono trascorsi tanti anni da quel 3 maggio del 1982. Fino ad allora, di mafia avevo solo sentito parlare, una storia come altre da leggere o un film da vedere. Quel giorno fummo chiamati alla realtà e il problema rivoluzionò le nostre esistenze, mandando in frantumi il corpo di un uomo, i suoi e i nostri sogni, per sempre. Era una calda giornata di sole, Gennaro Musella, alle 8,20, scese come al solito di casa, pochi metri, l’apertura della portiera, la messa in moto, il boato assordante.
Reggio Calabria, tremò come scossa da un terremoto: mio padre veniva disintegrato da una potentissima carica di tritolo posizionata sotto il sedile di guida.
L’auto si accartocciò su se stessa, volando in aria per poi tornare al suolo, mentre l’urlo straziante della gente si alzava in cielo. Sull’asfalto si formò una voragine che ancora oggi, quando piove molto, riaffiora. Una colonna di fumo nero, fitto, circondò gli edifici, mentre il corpo dell’uomo giaceva dilaniato e sventrato. I suoi occhi spalancati sembravano essere quasi increduli. Di lui rimase solo un tronco monco; il cervello spappolato fu trovato appiccicato sul muro di un edificio della via antistante, una mano raccolta sull’asfalto.
Moriva così mio padre, Gennaro Musella, moriva in una terra non sua ma di cui s’era innamorato, sognando di creare una seconda Positano in terra di Calabria. Ma il suo sogno fu disintegrato con lui e il suo sorriso spento. Dopo appena due giorni, avrebbe compiuto 57 anni.
In un attimo di follia, la distruzione di un corpo, di una vita, di una famiglia che non è mai stata più la stessa e che da ieri ad oggi non ha smesso mai di pagare le conseguenze di quella tragedia che ci ha timbrato a fuoco la vita è che ci portiamo dentro. Mio padre non era un eroe ma una persona semplice e buona che ha pagato a caro prezzo la sua ribellione alla prepotenza e alla sopraffazione mafiosa, nel difendere dignità e libertà. Ho trascorso la mia vita nella testimonianza quotidiana al fine di trasmetterne memoria e ricordarlo alle coscienze della gente. Non so se ci sono riuscita ma certamente so di aver fatto tutto quello che potevo…bene o male, poco o molto, ma assolvendo al mio dovere di figlia e di cittadina.
Quando ad essere ucciso è un personaggio delle Istituzioni, le Istituzioni stesse lo ricordano ma, se a cadere sono cittadini comuni, i palazzi restano molto lontani e si rischia di ucciderli due volte nella dimenticanza e nella negazione di verità e giustizia. Ecco che allora nasce per i familiari l’esigenza di mettersi in gioco e il dolore si fa forza e strumento indispensabile di riscatto.
Le vittime di mafia non gridano vendetta ma esigono e meritano giustizia, orfani di un futuro loro rubato con la sopraffazione.
La lotta della memoria contro l’oblio rappresenta il riscatto dalla barbarie per non rendere vane tante morti ingiuste e dare un senso a ciò che senso non ha. Il ricordo di alcuni uomini e la loro orrenda fine va trasmesso perché possa trasformarsi in patrimonio comune. A loro è stata riservata la parte più difficile, quella di morire, a noi resta un compito molto più agevole, diffonderne e tutelarne la memoria per non renderne vano il sacrificio ma trasformarlo in opportunità nella costruzione di una coscienza civile.