A cura di Michela Nicolussi Moro/ Corrieredelveneto.corriere.it/
Con un trend opposto rispetto all’andamento registrato nel resto d’Italia il Veneto festeggia i vent’anni della legge Sirchia, promulgata il 16 gennaio 2003 e famosa per aver introdotto il divieto di fumo nei locali chiusi aperti al pubblico, compresi mezzi di trasporto, luoghi di lavoro, negozi, bar e ristoranti, spazi di svago e sportivi. La normativa, fortemente voluta dall’allora ministro della Salute, Girolamo Sirchia, ha contribuito fino al 2020 al crollo dei tabagisti dal 33 per cento al 22 per cento della popolazione, percentuale risalita al 24,2 per cento con l’arrivo del Covid. Il che significa 800 mila fumatori in più in Italia, rispetto agli 11,6 milioni di due anni fa. Ma in Veneto è avvenuto l’esatto contrario e i tabagisti tra 18 e 69 anni sono scesi dal 26 per cento al 22 per cento, quindi oggi sono 732mila.
Zaia: risultato frutto dell’impegno della Regione
«È uno dei territori con il minor numero di fumatori — conferma il governatore Luca Zaia —. Un risultato frutto dell’impegno della Regione a promuovere stili di vita che consentano ambienti liberi dal fumo, campagne di prevenzione per le nuove generazioni, azioni di tutela dal fumo passivo e di sostegno ai tabagisti per aiutarli ad abbandonare la sigaretta». In termini pratici il Veneto ha reso ospedali e servizi sanitari liberi dal fumo, anche nelle aree esterne (apripista l’Istituto oncologico veneto), nel 2014 ha lanciato a Bibione la prima spiaggia italiana «Smoke Free», esempio seguito da altri lidi, e ha visto molti Comuni, come Vicenza e Padova, estendere il divieto di fumo ai parchi pubblici e alle fermate dell’autobus. Il Sistema di Sorveglianza «PASSI» evidenzia che l’abitudine al fumo è maggiormente diffusa tra i 25 e i 34 anni e si riduce con l’età. Coinvolge più gli uomini rispetto alle donne, ma soprattutto le persone in condizioni economicamente svantaggiate, che rappresentano il 33,5 per cento del campione. Inoltre il 94 per cento dei veneti riferisce che il divieto di fumo è «sempre o quasi sempre» rispettato nei locali pubblici da loro frequentati e il 96 per cento dice la stessa cosa per i luoghi di lavoro. Buone notizie anche sul fronte dell’esposizione al fumo passivo in ambito domestico: solo il 6 per cento degli intervistati dichiara che a casa loro è permessa la sigaretta, contro il 15 per cento di media nazionale.
Verso lo stop all’aperto
Si va verso il proibizionismo totale, come a New York dove è proibito anche fumare per strada? «Certo, in termini sanitari il divieto assoluto sarebbe la soluzione ideale, dato che il tabacco provoca malattie all’apparato respiratorio, oncologiche, cardiovascolari — ragiona la dottoressa Maria Rita Marchi, primario di Pneumologia all’ospedale di Cittadella ed eletta nel direttivo dell’Aipo Veneto (pneumologi) —. Ma vietare e basta non serve, senza campagne educazionali, condotte a partire dalla scuola dell’obbligo e in collaborazione con i medici di famiglia e i servizi specializzati avviati da anni nei Sert e nelle Pneumologie, non si va da nessuna parte. Non si raggiungono risultati a lungo termine. La legge Sirchia è fondamentale e resta una pietra miliare ma al divieto vanno associati percorsi condivisi tra fumatori, medici e psicologi. Le motivazioni che creano dipendenza dal fumo sono tante e diverse, anche a seconda dell’età — aggiunge la pneumologa — per i giovani è un’esperienza condivisa, per tante donne sopra i 50, sole o vedove, la sigaretta diventa uno sfogo, per gli anziani e i caregiver l’unico momento di relax. Insomma il fumatore va convinto, più che costretto, a smettere».
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