“Un morto che cammina”. Per le cosche crotonesi, il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri era come Giovanni Falcone. L’accostamento è esplicito ed emerge dalle intercettazioni registrate dalla Guardia di finanza nell’ambito dell’inchiesta “Malapianta” che stamattina ha portato all’arresto di 35 persone accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di droga, estorsione, usura, porto illegale di armi e intestazione fittizia di beni.
Una “potentissima locale di ‘ndrangheta smantellata” a Crotone dove il boss di San Leonardo di Cutro Alfonso Mannolo e i suoi sodali avevano timore sia del procuratore Gratteri sia delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Chi si pentiva, per i boss faceva una scelta “vergognosa”: “Ha fatto altre dichiarazioni?”. “Dice che sta cantando a ruota libera… così mi hanno detto”. Capicosca e luogotenenti del clan avevano paura di essere arrestati e, nei loro discorsi, commentavano l’operato di Gratteri apostrofandolo con frasi ingiuriose (“Questo è un figlio di p….”). Più inquietanti, invece, le considerazioni di disprezzo in cui il procuratore di Catanzaro è stato accostato a Giovanni Falcone. “Un morto che cammina” è la frase intercettata durante una conversazione che, però, – è scritto nel provvedimento di fermo – non contemplava alcuna concreta progettazione, né tanto meno costituiva prova di una concertazione volta a pianificare un attentato nei confronti del procuratore Gratteri”.
Per gli inquirenti, “la sua caratura criminale – è scritto nel provvedimento di fermo – appare manifesta ben oltre il notorio, quale essere il vero referente del comprensorio di San Leonardo di Cutro. La sua indiscussa carica ‘ndranghetistica ne fa uno dei principali protagonisti della ‘ndrangheta crotonese. Pianifica le estorsioni nei confronti delle diverse strutture turistiche del litorale crotonese, attua il reimpiego dei capitali lucrati dalla consorteria, discute della politica criminale della locale di ndrangheta con gli altri referenti della provincia quali Nicolino Grande Aracri”. Stando all’inchiesta, nonostante i suoi 80 anni, era attivo nel settore dell’usura che curava personalmente implementando la “bacinella” della cosca. Inoltre Alfonso Mannolo si recava “presso i domicili degli imprenditori vessati dalla consorteria spendendo chiaramente la matrice ‘ndranghetistica del sodalizio”. In manette anche i suoi figli, Dante e Remo
Stando a una vecchia informativa finita agli atti del processo “Stige”, la famiglia Mannolo gestirebbe attualmente una ditta che si occupa della distribuzione del caffe ‘Santos Caffè’ e alcuni distributori di benzina, oggi sequestrati dalla Guardia di finanza. Alcune intercettazioni, inoltre, registrate dalla Dda in recenti inchieste, dimostrerebbero il coinvolgimento della cosca in affari legati alla droga. Per eseguire il provvedimento di fermo sono sono stati impiegati oltre 250 militari delle fiamme gialle di Crotone e dello Scico.
Al Gr1, il procuratore Gratteri ha dichiarato che “alcune famiglie di ‘ndrangheta controllavano il respiro di un intero territorio della provincia di Crotone, l’indagine ne ha svelato i loro interessi. Avevano controllo assoluto sul territorio e chiedevano la tangente a tutti gli operatori turistici di quell’area, sottoponendoli anche a usura; rilevavano tutte le attività commerciali al punto che oggi abbiamo sequestrato diversi distributori di benzina, alberghi, ristoranti e bar. Vendevano cocaina in cinque regioni d’Italia e all’estero”. Il traffico di sostanze stupefacenti (hashish, cocaina ed eroina) era certamente tra i più redditizi per i Mannolo che acquistavano la droga dai clan di Reggio Calabria e Vibo Valentia. A Crotone c’era la base operativa dello spaccio. Nel quartiere di via Acquabona, infatti, la cosca aveva il suo “fortino” dove risiedono centinaia di persone appartenenti al gruppo degli “zingari”. Case abusive e vialetti stretti dove le donne e i bambini venivano utilizzati come vedette per lo spaccio.
Non solo droga e usura. Storicamente attiva nel settore del traffico di sigarette, la “locale” di San Leonardo di Cutro dettava legge anche per quanto riguarda la gestione dei villaggi turisticiattraverso “una costante quanto pesantissima vessazione posta in essere con l’imposizione di proventi estorsivi, di assunzioni di lavoratori vicini alla consorteria ‘ndranghetista nonché di fornitori di beni e servizi anch’essi graditi alle cosche annullando, di fatto, ogni forma di libero mercato e di concorrenza”. Le regole erano chiare: i proprietari delle strutture ricettive dovevano subire l’estorsione di denaro contante per milioni di euro o affidare alla cosca la gestione di manodopera, forniture e manutenzioni: “Un progetto delinquenziale condiviso dalle consorterie operanti nella ‘circoscrizione’ criminale di Cutro” che, nel tempo, sono riuscite a imporre la loro assoluta egemonia in relazione a qualsivoglia aspetto delle attività connesse alla gestione di alberghi e villaggi.
I sospetti dei pm sono stati riscontrati anche dalle dichiarazioni di alcuni imprenditori come Giovanni Notarianni, titolare della società che gestisce il villaggio “Porto Kaleo”. Fino al 2013 è stato stritolato dalla cosca. Quando ha smesso di pagare, sono iniziate le intimidazioni. Nel 2001 Notarianni fu costretto a pagare 250mila euro “una tantum” ad Alfonso Mannolo che impose anche una “tassa mensile” corrispondente a 2mila euro per i servizi di “sicurezza e guardiania”. Cinque mila euro annui, invece, doveva versarli per le “cure termali” del boss. Con l’operazione “Malapianta”, la Guardia di finanza ha sequestrato beni e società per 30 milioni di euro. Durante la conferenza stampa, il procuratore capo Gratteri che “la ‘locale’ di San Leonardo di Cutro può sembrare piccola, insignificante, e invece già negli anni ’70 Cosa Nostra aveva impiantato in quel territorio una raffineria per la lavorazione e la produzione dell’eroina: questo a conferma della credibilità criminale di questa organizzazione, perché vuol dire che già a quel tempo c’era una struttura ben radicata, al punto da confrontarsi con la Cosa Nostra di quegli anni, che non è quella di oggi ma è quella che dominava gran parte del territorio nazionale e persino negli Stati Uniti”.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha affermato: “Trentacinque arresti per ‘ndrangheta a Crotone: grazie alle Guardia di Finanza, che ha messo in campo più di 250 uomini. Continua la pulizia, contro clan e delinquenti vari. E presto, col decreto sicurezza bis, avremo nuovi strumenti per combattere scafisti, mafiosi e delinquenti che aggrediscono le forze dell’ordine. Dalle parole ai fatti!”.
Fonte Il Fatto Quotidiano