Nella giornata dell’11 ottobre, ai margini di un meeting del Fmi a Bali, il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha incontrato l’omologo statunitense Steven Mnuchin, ribadendo l’impegno a proseguire sul sentiero della riduzione del rapporto debito/Pil e illustrando lo spirito e i contenuti della manovra di bilancio per il 2019, mirata al rafforzamento della crescita economica italiana. Dal canto suo Mnuchin, segnala Lettera43, “ha auspicato il ritorno della stabilità sui mercati, evocando la «situazione precedente» all’annuncio della manovra dal parte del governo M5s-Lega. Gli Stati Uniti invitano dunque ad abbassare i toni e non avrebbero alcun interesse a destabilizzare l’area dell’euro attraverso l’Italia”.
Come scrive Daniele Capezzone su La Verità, “la mano americana sulle nostre spalle comincia a farsi sentire. Si pensi solo alla Libia: il piano del presidente francese Emmanuel Macron, volto a imporre elezioni-lampo, è stato fatto saltare in sede Onu proprio grazie agli Usa; sarà invece centrale una conferenza che si svolgerà in Italia; e grazie a una positiva triangolazione con il mondo anglosassone (in questo caso, con gli inglesi di Bp), Eni sembra consolidare il suo ruolo rispetto alla francese Total nei nuovi accordi petroliferi nella regione”.
L’allargamento all’economia di questa sintonia all’economia e alla finanza non è che la logica conclusione dell’affiatamento crescente tra l’amministrazione Trump e il governo Conte che, dopo l’incontro bilaterale di luglio, hanno saputo lavorare in sinergia su diversi temi importanti. C’è la consapevolezza che l’America creda nelle capacità dell’Italia e sia disposta a supportarla: per Roma, ciò significa un vero e proprio diritto di prelazione sulle altre potenze europee, in rotta di collisione o in lite con Washington, per la conquista della fiducia della superpotenza americana.