Eroe del Risorgimento al fianco di Garibaldi e già deputato del neonato Regno d’Italia, Gerolamo Bixio detto Nino torna sul campo di battaglia a Custoza nel corso della Terza guerra d’indipendenza. È l’estate del 1866 e il generale comandante del Regio esercito – pasionario non solo in guerra – incontra una nobildonna delle Venezie e dalla relazione clandestina nasce un bambino.
Alfonso Bixio, riconosciuto solo dal padre, viene accolto da un orfanotrofio di Verona e poi affidato a una famiglia di possidenti a San Bonifacio. Il figlio Emilio (classe 1890) è il fondatore dell’azienda agricola di famiglia, avviata nel primo dopoguerra con l’uscita dall’economia di sussistenza, ma il primo vero imprenditore del vino è Ottavio Bixio. «Mio padre faceva il trasportatore per le Cantine Ruffo, la prima cantina di Soave, ma un evento fortuito lo ha spinto a prendere le redini dell’azienda agricola di uno dei 9 fratelli – racconta il figlio Emilio, che oggi guida la maison con i fratelli Massimo e Romina – È passato dal conferimento alla vinificazione nella seconda metà degli anni Sessanta e da lì è stata una crescita continua, dato che il Soave era allora il bianco più conosciuto in Italia e probabilmente nel mondo».
Dalle damigiane all’export
Era il tempo del vino sfuso e, con 30 ettari vitati in zona Soave, l’azienda Bixio smerciava damigiane e fiaschi in quantità. Fino al 1985. Poi il caso del vino al metanolo ha cambiato completamente il mercato. «Chi ha avuto la forza di rinnovarsi e guardare al futuro è ripartito – conferma Bixio -. I consumatori hanno iniziato a bere meno e meglio. Noi abbiamo iniziato a imbottigliare, prima ilRecioto e qualche vino particolare, poi anche il Soave. Questo ci ha aperto le porte del primo importatore in Germania, che cercava un’alternativa italiana buona ai francesi». In meno di 6 anni la cantina Bixio passa da 20mila a 300mila bottiglie l’anno. E soprattutto spinge l’acceleratore sulle esportazioni.
Oggi il mercato dei vini Bixio è decisamente internazionale: il 95% viene esportato attualmente in Usa, Nord Europa e Far East, con destinazioni in forte espansione come Giappone, Korea, Singapore. «Spingiamo anche su Hong Kong, come ponte verso la Cina – riferisce – Quest’ultimo è però un mercato strano, attento al prezzo ma con una scarsa affezione. E dopo i miei ultimi viaggi credo punteremo a diminuire la quantità e alzare la selezione sulla qualità».
Tra Valpolicella e Arcole sabbiosa
Oggi la produzione dai 30 ettari delle Cantina Bixio si avvicina al milione di bottiglie, ma l’85% viene distribuito in private label o sul mercato secondario del vino sfuso. Solo 150mila bottiglie escono con etichetta Bixio: 25mila di Amarone, 30mila di Ripasso, 10mila di Soave classico, di Pinot Grigio, di Cabernet e di Merlot, circa 15mila di Corvina in purezza. E poi c’è la produzione che entra nella piccola Doc Arcole, l’ultima nata nel Veronese con pochi produttori inseriti. «La Doc è nata nel 2000 e si è cercato di creare un parallelo con la Valpolicella – chiarisce Bixio – Io definisco il Nero d’Arcole ‘Amarone dell’Est veronese’, dato che si usa la stessa tecnica, ma con vitigni internazionali (Cabernet e Merlot). Abbiamo investito molto sulla denominazione: solo il primo anno, il 2007, ho lasciato ad appassire mille quintali di Merlot, che vede poi un’aggiunta di Cabernet Sauvignon inferiore al 15%. A parte la scelta infelice del nome, è un vino di livello e dal 2009 ho iniziato a lavorare sul progetto Rinero, ovvero il ripasso d’Arcole». Oggi Bixio propone sul mercato 30mila bottiglie di Nero e 30mila di Rinero. «L’Arcole è sabbiosa e famosa per gli asparagi – rimarca Bixio – e i vini nascono nella sabbia. Viaggiando nelle aree del Medoc e del Bordeaux si trovano condizioni simili: alla foce della Gironda il terreno è sabbioso e limoso, si allevano vitigni internazionali con bassa densità per ettaro. Quello è il modello che abbiamo importato in Arcole».
Denxo, top di gamma per l’Asia
È ancora una nicchia sotto le 4mila bottiglie, ma ogni anno in Bixio crescono di mille perché il vino piace.L’etichetta vellutata in rilievo è essenzialmente dominata dal nome: Denxo. «È nato quasi per caso, ma ci ha lasciati incantati – racconta Emilio Bixio – La vendemmia 2009 è stata ritardata e le uve Merlot, avendo un acino più piccolo della Corvina, con il caldo di fine agosto e settembre sono appassite velocemente. Ne è uscito un vino concentrato come l’olio dal frantoio».
Denxo è Merlot al 90% e 10% di un autoctono non dichiarato. Viene vinificato con un processo ad hoc, dato che la fermentazione è resa difficile dall’elevata concentrazione. “Usiamo lieviti aggressivi, selezionati dal Sud Italia – riferisce Bixio, che è anche l’enologo in azienda (con un supporto interno) – La vinificazione è in acciaio, poi fa un anno in tonneau nuovi e, dopo un riassemblaggio, ancora un anno di legno». Denxo ha mercato attualmente soprattutto in Svizzera e Scandinavia, ma Hong Kong e Shangai sono nel mirino.
Fonte Il Sole 24Ore di Giambattista Marchetto