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Intervento del Presidente Mattarella in occasione dell’1 Maggio

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Il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella
Il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella

Buon Primo Maggio a voi e a tutti gli italiani!

Saluto con cordialità il Presidente della Camera, il Presidente della Corte costituzionale, la Vicepresidente del Senato e tutte le autorità presenti.

Invio un grande augurio al Presidente Giorgio Napolitano che è sempre stato presente negli anni passati a questa cerimonia per il Primo maggio.

Ringrazio per i loro interventi il Ministro del Lavoro, il Presidente della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro, il Presidente della Federazione dei Maestri del Lavoro d’Italia, il Presidente dell’Associazione nazionale Seniores d’Azienda. Ci hanno presentato considerazioni che meritano di essere sviluppate con impegno, nello spirito di una comune partecipazione alle sorti del nostro Paese.

Mi congratulo con quanti hanno ricevuto oggi le Stelle al Merito del lavoro: questi riconoscimenti rappresentano il coronamento di storie di vita, di sacrifici e speranze che hanno contribuito a rendere migliore l’intera comunità e che attestano valori di solidarietà e di progresso civile.

Il Primo Maggio è anche una festa della nostra democrazia. La Costituzione pone il lavoro a fondamento della Repubblica, perché considera la persona – la sua libertà, la sua partecipazione creativa, il suo sviluppo integrale – come il perno della società, come il centro dell’ordinamento, come la misura delle sue regole.

Siamo orgogliosi della nostra Carta costituzionale. Ne ricordiamo il settantesimo della entrata in vigore, e la assumiamo come una costante sollecitazione a superare gli ostacoli che si frappongono a una piena affermazione del diritto al lavoro, a un buon lavoro.

Il lavoro consente di vivere con dignità, di contribuire al benessere di tutti, di passare il testimone della vita alle generazioni future. Come ogni buon diritto, contiene anche doveri. Questa è la connessione che ci rende partecipi del bene comune. Senza l’integrazione fra diritti e doveri possono diffondersi egoismi, diffidenza, sfiducia, emarginazione.

Desidero manifestare, in questa giornata, la mia solidarietà e il mio sostegno a tutti coloro che sono alla ricerca di un lavoro, a quanti un lavoro vogliono intraprendere, a coloro che soffrono per averlo perduto, a chi ha occupazioni precarie, o parziali, e non per propria volontà. Soprattutto intendo esprimere vicinanza e incoraggiamento ai giovani: non possiamo fare a meno del loro lavoro, della loro passione, della loro intelligenza, della loro maggiore sintonia con le straordinarie trasformazioni che segnano il nostro tempo.

Ai giovani che oggi saranno al Concertone di piazza San Giovanni voglio rivolgere fin d’ora il mio saluto cordiale e l’augurio più caloroso!

La crescita del lavoro e la sua qualità – così essenziali al tenore di vita e alla capacità di competizione del Paese – restano necessariamente centrali per ogni strategia di governo. Il lavoro è la priorità, avvertita dalla stragrande maggioranza dei nostri concittadini. Le istituzioni sono chiamate a fare la loro parte. Tuttavia, il lavoro non dipende soltanto da scelte dell’autorità pubblica: il lavoro è la risultante di spinte economiche e sociali molteplici, ancor più in un sistema interdipendente come il nostro, e importanza decisiva riveste il coraggio di intraprendere, di investire, di innovare. Una lezione importante che nasce dall’esperienza, testimoniatami, di recente, dal padre del microcredito, Muhammad Yunus, nel corso di un incontro al Quirinale.

L’impresa crea lavoro: per questo va curato il contesto in cui essa vive, in modo che migliori le sue capacità e renda più ampie le opportunità. Ci accorgiamo oggi di come il valore sociale dell’impresa – delineato e indicato dai nostri costituenti – stia assumendo nuovi e più intensi significati.

Prosegue in Italia l’espansione dell’attività economica, sebbene a un passo più moderato rispetto all’area euro. Si avverte in Europa, peraltro, qualche segnale di rallentamento, tuttavia le previsioni di crescita della nostra economia per i prossimi mesi sono sostanzialmente confermate. Preoccupano di più le conseguenze di possibili chiusure protezionistiche, di guerre commerciali, insomma il riaffiorare di una presunta autosufficienza economica, di un anacronistico nazionalismo economico che ha procurato in passato tante gravi conseguenze. Non è certo interesse nazionale – per nessuno in realtà, tanto meno per l’Italia – che si alzino nuove barriere tra gli Stati: piuttosto, diventa sempre più evidente che per assicurare andamento positivo a un’economia, inevitabilmente globale, bisogna renderla più inclusiva, attraverso riforme che diano speranze a tutti, a partire da chi è più debole.

Anche all’interno del nostro Paese la crescita dell’economia – con il conseguente, prezioso aumento dell’occupazione – non è ancora riuscita a cancellare l’area della povertà e quella forbice della diseguaglianza, che la lunga crisi ha drammaticamente allargato. Gli indici positivi raggiunti costituiscono, dunque, un’occasione per la nostra comunità; una sfida a fare sempre meglio, nella consapevolezza che i divari sociali – siano essi territoriali, generazionali, di genere – costituiscono un prezzo insostenibile per il nostro Paese.

Possiamo, dobbiamo trarre forza dai traguardi parziali raggiunti, a partire dall’espansione dei livelli occupazionali, che è proseguita anche nei primi mesi del 2018. Ma non ci può sfuggire che la disoccupazione dei giovani è ancora troppo elevata, che al Sud la mancanza di lavoro ha proporzioni inaccettabili, che l’occupazione femminile – benché in crescita – resta sensibilmente inferiore rispetto alla media dei Paesi dell’Unione, e questo comporta un grave deficit di qualità, di competitività, di giustizia per l’Italia.

Molto seria è la condizione delle persone sottoccupate. Come evidenziato anche dalla BCE, si tratta di lavoratori che, oltre ai salari più bassi, tendono ad avere minori tutele. Sulla precarietà del lavoro occorre intervenire con politiche adeguate e lungimiranti, compresa una protezione sociale più ampia e mirata alla riqualificazione.

Vi sono lavoratori che – per le caratteristiche del lavoro, o del loro contratto – non guadagnano a sufficienza e faticano a mantenere se stessi e la loro famiglia.

Il lavoro richiama il tema della sicurezza sociale, e del welfare, che va continuamente adeguato ai nuovi bisogni per poter assicurare, in concreto, l’universalità dei diritti dei cittadini. La proclamazione del Pilastro europeo dei diritti sociali, avvenuta a Goteborg nello scorso mese di novembre, è un’occasione importante per rilanciare il ruolo dell’Europa, e con essa la collaborazione tra le parti sociali.

Per giungere a una crescita più equilibrata, il Pilastro europeo mira a pari opportunità nell’accesso al mercato del lavoro. A condizioni di lavoro eque. A una protezione sociale, che sia in grado di prosciugare il bacino della disoccupazione e sappia favorire l’inserimento attraverso formazione e incentivi. Nella dimensione europea, il lavoro, i servizi e la solidarietà sociale possono diventare traguardi più facilmente raggiungibili.

L’Europa – l’Unione – è in grado di svolgere un ruolo cruciale investendo in beni pubblici europei: infrastrutture, ricerca, innovazione, protezione dell’ambiente, sicurezza. In questa direzione trova una straordinaria opportunità per riscattarsi dalla debolezza tante volte avvertita dai cittadini.

Desta allarme la sequenza – purtroppo continua – degli incidenti mortali nei luoghi di lavoro. Il nostro pensiero va anzitutto alle vittime, e al profondo dolore dei loro familiari, a cui esprimiamo una sincera vicinanza. Anche nelle settimane recenti abbiamo pianto i vigili del fuoco morti a Catania, durante un intervento di soccorso, gli operai deceduti per un’esplosione al porto di Livorno, i lavoratori dell’azienda di Treviglio e di quella di Crotone, e tanti altri casi. La sicurezza sul lavoro è un tema di civiltà che non intendiamo e non possiamo trascurare; e rappresenta un impegno a cui le istituzioni non verranno meno. Vogliono esserne testimonianza sentita anche le Stelle al Merito del Lavoro, che ho appena avuto l’onore di consegnare “alla memoria” di Giovanni Castelletti e di Luigi Albertelli.

Al di là delle statistiche – che segnalano un numero sempre molto alto degli incidenti e delle malattie professionali – se anche una sola persona perdesse la vita sul lavoro, o fosse costretta a gravi menomazioni, sarebbe comunque una tragedia intollerabile. Questi eventi sono causati da circostanze che possono e devono essere evitate. Questo richiama la responsabilità di tutte le parti.

La prevenzione degli incidenti va rafforzata con investimenti sulla sicurezza, e con controlli efficaci, che superino gli aspetti formali e assicurino risultati concreti per la garanzia della sicurezza delle persone.

E’ significativa e opportuna la scelta di Cgil, Cisl e Uil di dedicare il Primo Maggio di quest’anno al tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Rivolgo un saluto ai lavoratori riuniti oggi a Prato, città divenuta emblematica per la tutela del lavoro e della sua legalità.

Saluto, con loro, tutte le organizzazioni sindacali.

Il lavoro sta cambiando. E ci impone di essere all’altezza di una nuova domanda di sviluppo e di giustizia. La crescita è sostenibile se rispetta l’equilibrio della natura. Ma anche se rispetta l’uguaglianza tra le persone e la coesione della comunità. Il lavoro che cambia richiede un’armonia maggiore con i tempi di vita. Richiede che anche il lavoro di cura venga tenuto nella giusta, crescente considerazione.

Non mancano difficoltà nel nostro cammino.

Tuttavia, dove c’è il senso di un destino comune da condividere, dove si riesce ancora a distinguere il bene comune dai molteplici interessi di parte, il Paese può andare incontro, con fiducia, al proprio domani.

Auguri! Buon Primo maggio!

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