5 Maggio 2015 – Incassato l’Italicum in via definitiva alla Camera con l’Aventino delle opposizioni e il dissenso di una parte della minoranza del Pd, la battaglia di Renzi si sposta al Senato, a cui tocca l’esame della riforma della Costituzione che modifica la composizione dell’Assemblea di Palazzo Madama e cancella l’elezione diretta dei senatori. Qui, pallottoliere alla mano, senza i voti della minoranza del Pd, il governo non ha la maggioranza.
Sulla carta, infatti, può contare su 172 voti: 112 del Pd (Pietro Grasso, presidente del Senato, non vota), 36 di Area Popolare, 17 Per le Autonomie (compresi i senatori a vita Giorgio Napolitano, Elena Cattaneo, Carlo Rubbia), 3 di Gal (Paolo Naccarato, Michelino Davico, Angela D’Onghia), 4 del gruppo Misto (Benedetto Della Vedova, Mario Monti, Salvatore Margiotta, Maurizio Rossi). Dal Misto potrebbero arrivare i voti di Manuela Repetti e Sandro Bondi, ex Fi passati al Misto. Quindi si arriverebbe a quota 174, cioè 13 voti sopra la maggioranza dei componenti del Senato che è di 161 voti, solo 11 in più se non si calcolano i due ex senatori berlusconiani. Senza i 24 senatori dem che non votarono l’Italicum a Palazzo Madama, però, i numeri del governo si fermerebbero a 137.
L’opposizione può contare su 144 senatori: 36 M5S, 58 di Fi, 12 Lega, 12 Gal, 26 del Misto (7 di Sel, 4 del movimento x, 2 Italia lavori in corso, 10 ex M5S, 3 ex Lega). I senatori a vita Carlo Azeglio Ciampi e Renzo Piano, iscritti al gruppo Per le Autonomie, non votano. Fondamentale per la tenuta del governo sarà quindi ricucire con la minoranza del Pd o in alternativa reclutare voti a favore nella variopinta galassia del gruppo Misto e del gruppo. ASCA NEWS