Nel mirino della Procura di Roma il direttore generale e il numero due di una società del gruppo. L’Eni ha truccato per pagare meno tasse sul carburante che esce dalle raffinerie. È l’accusa che la procura di Roma muove al colosso industriale. Un’indagine appena all’inizio che prende in considerazione gli anni tra il 2007 e il 2013 e che ha già i primi indagati: il direttore generale di Eni refining & marketing, Angelo Fanelli, e il suo vice, Domenico Elefante. Accusati, insieme ad altri, di associazione per delinquere finalizzata alla sottrazione al pagamento dell’accisa.
Un’inchiesta nata a Frosinone e arrivata a Roma per competenza che ha a che fare con le accise che la multinazionale deve pagare all’Erario. Se da un lato si tratta di tasse che vengono scaricate sul consumatore, dall’altro è vero anche che il produttore le deve pagare al Fisco, secondo lo stesso meccanismo dell’Iva. L’ipotesi dei pm e dei finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Roma è che l’Eni ci marciasse. Gpl, gas e benzina, prodotti volatili, sono soggetti a variazioni di peso e volume in base a una serie di fattori esterni ed è quindi necessario misurarlo sia al momento del carico presso il deposito sia dello scarico: proprio tra questi due momenti ci sarebbe una differenza consistente di valori che, secondo i pm, è sospetta e va oltre alle variazioni previste dalla legge.
Insomma, per la Procura, l’Eni avrebbe dichiarato valori differenti in modo da pagare meno tasse. Un guadagno ottenuto giocando, appunto, sulle quantità di merce in uscita che permetteva di guadagnare milioni e milioni di euro. Denaro che sarebbe stato così sottratto al Fisco. L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Pier filippo Laviani e dai pm Valentina Margio e Mario Palazzi, è ancora agli inizi. La settimana scorsa le Fiamme Gialle hanno perquisito tutte le sedi Eni che si occupano dei prodotti petroliferi. Due gli episodi individuati finora che riguarderebbero un’evasionedadue milioni nelle sedi di Gaeta e Livorno. Il sospetto degli inquirenti è che quelli non siano casi isolati, ma episodi di un sistema che il colosso ha utilizzato per anni. E, dato il volume d’affari dell’azienda, i soldi evasi al Fisco e finiti chissà dove sarebbero centinaia di milioni di euro.
Ad oggi sono soltanto ipotesi investigative sulle quali, peraltro, gli inquirenti mantengono il massimo riserbo anche perché stanno cominciando in questi giorni a mettere mano alle carte sequestrate in mezza Italia: le perquisizioni sono state trenta. Certo è che se i sospetti dovessero essere confermati, e se davvero quello messo in piedi a Gaeta e Livorno fosse un sistema applicato ovunque, sarebbe difficile sostenere che i vertici di Eni non ne sapessero nulla. E altrettanto difficile poter immaginare che il denaro sottratto al fìsco, milioni e milioni di euro, sia finito nelle tasche dei soli indagati. Eni, che oggi ha una nuova governance, affida a una nota la sua difesa: «La società sta fornendo ampia collaborazione all’autorità giudiziaria nella coscienza della più ligia applicazione delle norme». Il sospetto dei pm che il denaro sottratto al fisco non finisse solo nelle tasche dei vertici NELLA BUFERA Angelo Fanelli
Fonte: La Repubblica
FRANCESCO SALVATORE MARIA ELENA VINCENZI
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