di Caro Maria Lomartire per TGCOM – Il Resto del Carlone/
A Palazzo Marino sembrano preoccupati più che altro dalla multona che Bruxelles ha inflitto a Sea Handling, spingendola così verso il fallimento. Comprensibile, ma non si accorgono che i nemici di Malpensa, grazie all’accordo Alitalia-Etihad, hanno scelto il momento migliore per affossare lo scalo varesino: la vigilia di Expo, quando Milano e la Lombardia avranno bisogno della massima accessibilità, dei più efficaci e diretti collegamenti intercontinentali.
I classici due piccioni con una fava: fine di Malpensa e flop di Expo. Non è male come prova di tafazzismo nazionale, ma è quanto avverrebbe se, come pare, l’ingresso degli arabi in Alitalia comportasse – anche per effetto di incauti interventi governativi – uno spostamento di traffico sulla già intasata Linate, per portare da qui il movimento intercontinentale su Fiumicino e su Parigi (AirFrance, anche grazie ai sui rapporti con Etihad, resta pur sempre il socio più influente di Alitalia) e altrove. Tutto pur di salvare due carrozzoni romani Alitalia e Fiumicino. Poco importa se a pagare le conseguenze di queste scelte egoistiche saranno poi aziende di altri territori, come Sea, Malpensa e il relativo vastissimo indotto. E comunque tutto questo sarà inutile: sono pronto a scommettere che entro 3 anni Alitalia sarà per la terza volta alla canna del gas. La insanabile crisi ormai ventennale di quella che qualcuno continua enfaticamente a chiamare “compagnia di bandiera”, infatti, è dovuta principalmente a ostinate e sbagliate scelte commerciali. Scelte antinazionali, corporative e alla fine autolesionistiche: il rifiuto, cioè – scegliendo Fiumicino come unico hub e abbandonando gradualmente Malpensa – di attrezzarsi per servire il traffico più ricco per numero di biglietti venduti e per qualità della clientela, il traffico intercontinentale originato dall’Italia del Nord, costretto perciò a scegliere, col potenziamento di Linate, lo scalo romano ma anche Parigi o Francoforte o Abu Dhabi, e quindi AirFrance o Lfthansa o Etihad. Scelte antinazionali (alto che “compagnia di bandiera”!) perché privilegiano vettori e scali stranieri ma anche un territorio italiano a spese di un altro; corporative perché ispirate anche dalle pressioni dei sindacati aziendali “romani”; autolesionistiche perché non fanno l’interesse della compagnia. E d’altra parte dobbiamo onestamente riconoscere che tutte le amministrazioni precedenti – tanto del Comune di Milano, principale azionista di Sea, quanto della stessa Sea – si sono sempre ottusamente opposte a un ridimensionamento di Linate.
Alitalia, insomma, non ce la farà a pareggiare i suoi disastrati conti finché non si deciderà a servire il ricco traffico del Nord e continuerà a regalarlo a scali e compagnie straniere. Ma il peggio è che alla fine a mettere mano al portafoglio, in un modo o nell’altro, dovrà essere il solito Pantalone, il solito contribuente, soprattutto quello del Nord, gabbato così una volta di più, giacché dovrà pagare il fallimento di scelte che lo hanno già danneggiato.
Secondo voci insistenti l’attuale ministro dei Trasporti, il milanesissimo Maurizio Lupi starebbe pensando di candidarsi a sindaco di Milano. Buonsenso vorrebbe, perciò, che egli fosse piuttosto attento agli interessi della sua città. Le ultime vicende di Alitalia e Malpensa francamente non danno questa impressione e in campagna elettorale qualcuno potrebbe chiedergli conto della chiusura dello scalo varesino, del fallimento di Sea e, di conseguenza, delle migliaia di famiglie sul lastrico: insomma di scelte “romane” a scapito di interessi “milanesi” e lombardi. Domande imbarazzanti per un candidato sindaco di Milano.