di Alessandro Corneli – grrg.eu/
Contrariamente a chi prevedeva uno slittamento della decisione, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza – sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica – alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.
La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali “bloccate”, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza.
Secondo il presidente emerito della Corte, Valerio Onida, pur con la riserva di attendere la pubblicazione delle motivazioni, questo significa che non si ritorna al Mattarellum (tre quarti dei seggi eletti con il maggioritario e un quarto con il proporzionale), ma si va ad un sistema proporzionale senza premio di maggioranza, praticamente quello della Prima Repubblica.
Non è però sicuro. Il premio di maggioranza potrebbe tornare ma a condizione che sia posta una soglia. Ad esempio, potrebbe essere attribuito alla lista o alla coalizione che ottiene almeno il 40% dei voti. Allo stato attuale di frastagliamento dei partiti, solo due grandi ammucchiate potrebbero superare quella soglia . Per cui il premio potrebbe essere previsto ma di fatto non applicato.
Qual è il vantaggio del proporzionale? Che sarebbero escluse le alleanze prima del voto: ogni partito avrebbe un potere contrattuale più o meno forte in base al numero di voti e di seggi conquistati. Prospettiva assai poco entusiasmante che affosserebbe definitivamente il bipolarismo. Si aggiunga che la reintroduzione del voto di preferenza ridurrebbe di molto il potere dei segretari dei partiti di predisporre le liste dei candidati.Le conseguenze per il nuovo segretario del PD (ad esempio Renzi) sarebbero disastrose: non avrebbe quel potere che già pregusta e i suoi propositi di rottamazione svanirebbero. Proprio ieri, Renzi aveva avanzato una proposta – non perfettamente definita – che si avvicina molto al modello maggioritario francese: maggioritario a due turni.
Dopo la sentenza della Consulta, aumenta la pressione sui partiti perché si mettano d’accordo su una nuova legge elettorale. E anche se l’iniziativa passasse al Governo, sarebbero sempre i partiti a dover decidere.
Ad un primo sguardo, la decisione della Corte sembra favorire quella o quelle forze che si collocheranno al centro, sempre che siano credibili e che superino un eventuale sbarramento del 5%. Non sembra favorire né il PD né FI se quest’ultima pensasse di fare rientrare la dissidenza degli alfaniani e di aggregare altre formazioni di destra.
Per dare un po’ di credibilità alla nuova legge, bisognerebbe anche ridurre il numero dei deputati (con legge costituzionale ma fattibile). Più complicato abolire il Senato e trasformarlo nella Camera delle Regioni considerando che proprio sulle Regioni stanno aumentando le critiche sull’onda delle rivelazione di scandali che non è esagerato definire grotteschi per il loro contenuto. Ma modificare, con legge costituzionale, il Senato non sarà facile e questa modifica si trascinerebbe altre modifiche sui poteri del Capo dello Stato e del Capo del Governo, ovvero un’intera riforma della Costituzione che è ancora in alto mare.
Insomma, facendo chiarezza su un punto, la Corte ha aumentato la confusione su tutto il resto. Ma ha almeno offerto a Letta il contenuto del discorso con cui, tra pochi giorni, si presenterà alle Camere per chiedere la fiducia. Forse era solo questo che si voleva per tirare avanti ancora un po’.
Mentre i politici hanno nuova carne da mettere al fuoco, credendo di saziare un’opinione pubblica che, invece, mostra sintomi di inappetenza e disgusto, voglio richiamare l’attenzione su un documento della Coldiretti su dati Unioncamere relativi ai primi nove mesi 2013 rispetto all’inizio della crisi nel 2007.
Con la crisi sono state chiuse in Italia 140mila (136.351) stalle ed aziende anche a causa della concorrenza sleale dei prodotti di minor qualità importati dall’estero che vengono spacciati come Made in Italy. Solo nell’ultimo anno sono scomparse 32.500 stalle ed aziende agricole e persi 36mila occupati nelle campagne. “Stiamo svendendo un patrimonio del nostro Paese sul quale costruire una ripresa economica sostenibile e duratura che fa bene all’economia all’ambiente e alla salute”, afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
Oggi l’Italia, anche a causa delle importazioni di minor qualità produce appena il 70% dei prodotti alimentari che consuma ed importa il 40% del latte e carne, il 50% del grano tenero destinato al pane, il 40% del grano duro destinato alla pasta, il 20% del mais e l’80% della soia.
Le importazioni di prodotti agroalimentari dall’estero sono aumentate in valore del 22% nei primi otto mesi del 2013. Gli arrivi di carne di maiale sono cresciuti del 16% mentre le importazioni di cereali, “pronti a diventare pasta e riso spacciati per italiani”, hanno segnato un boom (+45 %) con un +24% per il grano e un +49% per il riso. Aumenta anche l’import di latte, +26%, “anch’esso destinato a diventare magicamente Made in Italy. Netta pure la crescita delle importazioni di frutta e verdura, +33%, con il pomodoro fresco che sovrasta tutti (+59%).
Migliaia di agricoltori e allevatori che, fin da ieri, hanno invaso la frontiera del Brennero tra Italia e Austria per la mobilitazione “La battaglia di Natale: scegli l’Italia”, promossa da Coldiretti per difendere il settore dalle importazioni di bassa qualità spacciate come italiane, hanno innalzato striscioni espliciti: “615mila maiali in meno in Italia grazie alle importazioni alla diossina dalla Germania”, “1 mozzarella su 4 è senza latte”, “Il falso prosciutto italiano ha fatto perdere il 10% dei posti di lavoro”, “Fuori i nomi di chi fa i formaggi con caseine e cagliate”.
Infatti, circa un terzo (33 per cento) della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia contiene materie prime straniere e sono esportati con il marchio Made in Italy, con i consumatori che peraltro sono all’oscuro di tutto ciò. Secondo Coldiretti, “gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali riguardano due prosciutti su tre venduti come italiani ma fatti con maiali allevati all’estero. Inoltre tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro sono stranieri senza indicazione in etichetta; oltre un terzo della pasta è ottenuta da grano non coltivato in Italia e la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere. La presenza di ingredienti stranieri nei prodotti alimentari realizzati in Italia – spiega Coldiretti – è dovuta alla ricerca del rifornimento a basso costo e senza preoccupazioni per le conseguenze sulla salute: perciò finisce nel piatto dal concentrato di pomodoro cinese all’olio di oliva tunisino, dal riso vietnamita al miele cinese.
Altro che i lavoratori clandestini cinesi di Prato. Governo, Magistratura, Nuclei anti-sofisticazione, GdF, Asl e altro, che cosa fanno? A quanti miliardi assommano i danni diretti e indiretti di tutto questo? E il governo è impantanato sull’Imu. Questo non è un Paese serio, quale che sia la legge elettorale.