di Alessandro Corneli/grrg.eu/
La notizia, apparsa nelle agenzie il 29 novembre, è questa: il procuratore della Corte dei Conti del Lazio, Raffaele De Dominicis, ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tutte le leggi, a partire dal 1997, che hanno reintrodotto il finanziamento pubblico dei partiti, per averlo fatto in difformità con quanto proclamato dai cittadini con il referendum dell’aprile 1993. Da quel momento, i partiti avrebbero incassato – illegittimamente – 2,8 miliardi di euro.
Secondo De Domincis, rammentando che il corpo elettorale, in occasione del referendum, “fornì una risposta decisamente negativa in relazione alla persistenza delle erogazioni di contributi statali a beneficio dei partiti politici e dei movimenti e/o gruppi ad essi collegati”, si solleva questione di legittimità giacché le disposizioni posteriori “sono da ritenersi apertamente elusive e manipolative del risultato referendario, e quindi materialmente ripristinatorie di norme abrogate”. Quindi, per la Corte dei Conti, “tutte le disposizioni impugnate, a partire dal 1997 e, via via riprodotte nel 1999, nel 2002, nel 2006 e per ultimo nel 2012, hanno ripristinato i privilegi abrogati col referendum del 1993, facendo ricorso ad artifici semantici, come il rimborso al posto del contributo; gli sgravi fiscali al posto di autentici donativi; così alimentando la sfiducia del cittadino e l’ondata disgregante dell’antipolitica”. Inoltre, la differenziazione degli importi dei rimborsi dopo il primo anno dalle elezioni “si configura arbitraria e discriminatoria perché consolida la posizione di vantaggio solo di quei partiti che hanno raggiunto la maggioranza politico-parlamentare”.
La reazione istintiva a questa notizia potrebbe essere: finalmente! Ma bisogna contestualizzare, e ciò almeno in tre direzioni:
– la prima è il faticoso iter parlamentare del ddl sul finanziamento della politica che dovrebbe eliminare gradualmente il contributo pubblico, lasciando solo quello privato, che suscita le solite obiezioni perché alcuni partiti sarebbero più avvantaggiati (in genere, quelli dell’area governativa perché possono prendere decisioni gradite – o sgradite agli eventuali finanziatori)
– la seconda è la ripresa delle indagini sugli sprechi (che non è finanziamento) o sull’utilizzo dei fondi pubblici per fini diversi dall’attività politica in senso stretto (che riguarda l’uso distorto del finanziamento a fini privati)
– la terza è il persistente, forse in aumento, discredito che ricade sui partiti (i soli a beneficiare dell’iniziativa di De Dominicis è il M5S che si batte contro il finanziamento pubblico), ma in una fase in cui si cerca di accreditare un modello politico fondato sulla volontà di qualche istituzione, che prende decisioni e iniziative, imponendole ai partiti più che derivandole da essi. Messaggio: occorre ridimensionare i partiti sotto tutti gli aspetti. Per questo è funzionale anche la crescita dell’astensionismo e la polemica che inevitabilmente sarà innescata dall’iniziativa di De Domincis . Purché fili tutto liscio.
Tutto ciò avrebbe un aspetto razionale, di razionalizzazione del sistema politico se non fosse per il fatto che la regolamentazione dei partiti è prevista solo per alcuni aspetti formai nel ddl sul finanziamento della politica; che la disciplina dell’attività di lobby è ancora incerta; che ancora non si vede quale legge elettorale sostituirà il Porcellum; che, infine, in assenza di una riforma della Costituzione, non si conoscono i poteri dei diversi organi costituzionali. In altre parole, ci si preoccupa del chiodo con cui attaccare il quadro, della cornice, della parete cui appendere il tutto: manca solo la tela dipinta. Bisogna quindi essere cauti prima di festeggiare l’iniziativa di De Domincis.
Foto: Luigi Gallo