Il “Made in Italy” va in crocera per toccare le nuove rotte del business, quelle del petrolio da consolidare (come penisola arabica ed Emirati) e quelle emergenti sia dell'”oro nero” che del gas, che stanno iniettando improvviso benessere anche in mercati – come quelli dell’Africa subsahariana – sinora solo marginalmente esplorati dagli imprenditori italiani. Ma già presi d’assalto, da alcuni anni, dai cinesi, che sbarcano a frotte in Angola, Nigeria, Kenya, Sudafrica e Ghana offrendo prodotti e tecnologie (a basso costo) in cambio di materie prime.
Anche per rispondere alla più aggressiva strategia asiatica è nata la missione navale “Il sistema Paese in movimento” che toccherà 13 Paesi africani e 7 del golfo arabico, con l’obiettivo di mettere in vetrina il meglio della produzione nostrana, dare assistenza umanitaria e attivare progetti di cooperazione con altre nazioni, salpando il 13 novembre dal porto di Civitavecchia per concludere il giro il 7 aprile 2014 a Taranto.
«Le forze armate – ha ricordato il ministro della Difesa Mario Mauro – contribuiscono in modo importante alla nostra politica estera. Con questa iniziativa mettiamo in vetrina il sistema Italia con i suoi prodotti straordinari e puntiamo a far recuperare competitività al nostro Paese». Nell’hangar della portaerei Cavour, ha aggiunto Mauro, «abbiamo immaginati parti dell’Italia che si muove sul modello di un grande salone dell’industria bellica come quello di Le Bourget». Ma l’idea non l’abbiamo avuta solo noi italiani visto che la Francia si appresta a fare partire la Charles de Gaulle con una missione simile.
Un’operazione da 20 milioni, di cui, assicura il capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, «13 milioni sono coperti dagli sponsor ed i rimanenti 7 sono per gli stipendi dei militari impegnati». Oltre alle associazioni umanitarie che porteranno attività di assistenza nei Paesi (dalle infermiere volontarie della Croce Rossa alla Fondazione Francesca Rava e la onlus Operation Smile) tra gli espositori ci saranno l’Ice, Expo Milano 2015 e privati quali Pirelli, Ferrero, Federlegnarredo, Piaggio Aero, Telespazio, Finmeccanica, Fincantieri, Agusta Westland, Selex Es, Oto Melara, Wass Mbda, Elettronica Spa, Intermarine e Beretta Holding.
Da un lato c’è da consolidare e crescere ancora nella Penisola arabica. Gli ultimi dati Ice (su base Istat) dell’interscambio commerciale tra Italia ed Emirati arabi uniti, nel periodo gennaio–aprile 2013 hanno fatto registrare un +12,9% delle nostre esportazioni rispetto allo stesso periodo del 2012. Nel 2012, con 5,5 miliardi di euro di export, gli Emirati sono stati il primo mercato di sbocco per le nostre imprese nell’intero mondo arabo.
Dall’altro vanno costruiti ponti più robusti con l’Africa, soprattutto quella subsahariana, dove l’urbanizzazione e lo sfruttamento delle materie prime hanno impresso un’accelerata fortissima a una classe medio-alta che può e vuole spendere. Nel periodo 2013-2016, del resto, ha sottolineato anche l’ultimo Rapporto Export di Sace tra i mercati di prossima generazione, figurano, oltre parte del sudest asiatico e del sudamerica, anche Nigeria (+9,4%), Angola (+10,2%) e Qatar (+9,7 %), i cui acquisti saranno trainati dai comparti a medio-alta tecnologia, come la meccanica strumentale, le apparecchiature elettriche, l’induistria estrattiva e la chimica.
«Quelli africani – ha spiegato Alessandro Terzulli, reponsabile Analisi e Ricerche economiche di Sace – sono mercati potenzialmente interessanti e in grando già oggi di assorbire il nostro “made in Italy” più legato all’industria estrattiva e all’oil and gas perché da lì traggono le loro revenues. Che però stanno reinvestendo in infrastrutture, edilizia e saranno anche approdi per i beni di consumo e il design. Però bisogna cominciare a seminare ora per raccogliere i frutti tra qualche anno».
«La competizione in Africa è molto elevata – ha spiegato Francesco Ferrari, partner dello studio legale internazionale Dla Piper – e non sempre le società italiane riescono a essere coinvolte in progetti di particolare importanza, ad esempio nelle infrastrutture. Certo, ci sono le grandi imprese. Ma per le piccole e medie, le molte multinazionali tascabili, muoversi è difficile.»
«Oggi sul mercato – ha proseguito Ferrari – le uniche società che riescono a “portarsi da casa” commesse importanti sono le società cinesi, seguite da quelle indiane e sudcoreane». Lo confermano i dati di Ernst&Young. Nel periodo 2007-2012 gli investimenti diretti esteri in Africa da parte dei Paesi occidentali sono cresciuti dell’8,4%, mentre quelli da Paesi emergenti sono cresciuti del 20,7 per cento. Se nel 2012 il livello globale degli investimenti si è contratto di circa il 18%, in Africa è cresciuto del 5% (50 miliardi che quest’anno dovrebbero diventare 56). Il Pil medio l’anno scorso è cresciuto del 5,5% e negli ultimi dieci anni il valore degli investimenti stranieri è triplicato, superando quota 182 miliardi di dollari.