L’allagamento del prestigioso sito Archeologico di Sibari è diventato un caso internazionale ripreso dalle maggiori Agenzie di Stampa. Il mondo è sbigottito per l’accaduto e per come i segni di una Civiltà come quella di Sibari, possano continuare a pagare il peso dell’inciviltà politica dei tempi. Di fatto le acque piovane e non solo hanno letteralmente inabissato l’Antica Sibari per la seconda volta nella storia. Molti i politici distratti per la campagna elettorale, molte le responsabilità dal profilo etico e probabilmente non solo etico, enorme il disastro. Tanta brava gente e istituzioni unite per dare una mano.
SIBARI AFFONDA NEL FANGO
Lo spettacolo che si presenta agli occhi dei nostri redattori è increscioso, drammatico, specchio di una situazione politica altrettanto drammatica, abilissima nei proclami ma assolutamente incapace di spendere il danaro pubblico per promuovere i bene comune e tutelarlo, perché esso possa rappresentare un capitale produttivo per l’economia locale. Anche quando si tratta di un capitale culturale che dovrebbe essere vanto per l’intero Mezzogiorno d’Italia. La politica di questo territorio manca di una linea alta e sociale, di una visione che sia degna dell’antica Civiltà. Ci viene da pensare che sia essa stessa a sentirsi inadeguata e a chiedere alla Natura di riconcederle l’oblio del fango. E’ in questi luoghi che bisogna posare lo sguardo per comprendere quanto male sia stato fatto alla Calabria da una politica disadatta a comprendere il “Potere della Cultura” anche ai fini delle nuove economie.
COME SONO STATI INVESTITI I FONDI?
La domanda che tutti ci poniamo è: com’è possibile che un’area archeologica così prestigiosa non abbia i suoi scoli per le acque? O che essi non siano stati curati a dovere? O che gli argini non siano stati previsti, rinforzati, etc., etc.? E’ possibile? Si, certo. Gli Scavi interamente scomparsi sotto l’acqua e tonnellate di fango lo dimostrano.
Non intendiamo aggiungere una sola parola all’articolo redatto per ANSA da Antonio Iannicelli ma riteniamo di dovere interrogare la Procura della Repubblica competente per capire di chi sono le responsabilità di questo disastro senza precedenti.
Putroppo in Calabria ciò che giustamente l’ANSA ha definito una “Apocalisse” rischia di diventare l’ultimo dei problemi. Ci chiediamo cosa stia facendo in merito il Presidente della Provincia di Cosenza Mario Oliverio, il Governatore della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, Deputati e i Senatori competenti sul territorio.
Ci complimentiamo con tutti coloro i quali, invece, stanno facendo il possibile e, da cittadini attratti dalla magnificenza di questo Sito Archeologico e dallo splendore culturale dell’Antica Sibari, li ringraziamo. Speriamo che la Magistratura voglia aprire un’inchiesta e fare luce sulla triste vicenda. Servirà ad evitare nuovi danni e sperperi di danaro pubblico.
La Redazione de IL PARLAMENATRE.IT
L’ARTICOLO DELL’ANSA
Foto prelevate da Internet (a cura di Mario Tosti e Vigili del Fuoco)
E’ uno scenario apocalittico quello che appare in ogni angolo del parco archeologico di Sibari, sommerso dal fango e dall’acqua del fiume Crati dopo l’esondazione causata dalla pioggia. E così sembra di essere tornati al 510 a.C., quando i crotoniani decisero di deviare il corso del fiume che distrusse completamente l’opulenta polis magnogreca di Sybaris. Lo scorso 18 gennaio, dopo due millenni e mezzo, il Crati è esondato di nuovo, questa volta non per motivi bellici, e ha allagato completamente il parco archeologico di Sibari, mettendo in serio pericolo un patrimonio di inestimabile valore storico-culturale.
I danni, che è ancora troppo presto per calcolare, appaiono ingentissimi. L’esondazione ha coperto d’acqua totalmente il sito, dove le campagne di scavi che si sono succedute nel corso degli anni hanno portato alla luce reperti riferibili alle tre città sorte in quei luoghi. Sybaris, antica polis magno greca, realizzata nel 720 a.C. e distrutta nel 510 a.C. dai crotoniani; Thurii, fondata nel 443 a.C. dai sibariti che, dopo la distruzione di Sybaris, non si erano dispersi, e infine, nel 194 a.C., sullo stesso sito dove erano state edificate Sybaris e Thurii, la città romana di Copia. I primi danni provocati dall’esondazione del Crati sono già visibili. Alcune creste di mura sono state spazzate via.
Oggi la situazione è migliorata, l’acqua è stata succhiata via dalle grandi idrovore recuperate da vigili del fuoco e protezione civile, ma resta il problema del fango. Una situazione difficile da affrontare e su cui i tecnici e i responsabili della Soprintendenza ai Beni archeologici della Calabria si stanno interrogando. Dovranno evitare che il fango si asciughi bruscamente e diventi crosta ingestibile, difficile da togliere. Stanno pensando di utilizzare le loro idrovore per mantenere l’acqua al livello della falda e, quindi, tenere umido il fango. Poi avranno da fare con i lavori più delicati, come la pulitura delle vestigia. Solo allora si potrà avere un’esatta quantificazione dei danni e una conseguente quantificazione delle spese. Con il passare dei giorni moltissime associazioni e tantissimi volontari hanno offerto la loro solidarietà e la loro collaborazione.
Nei giorni successivi all’alluvione è partita la mobilitazione di studiosi, accademici, intellettuali, da Salvatore Settis a Mirella Baracco, Andrea Giardina, Filippo Veltri, Jean Luc Lamboney, che hanno lanciato dalle colonne del ‘Quotidiano della Calabria’ l’appello ‘Salviamo Sibari’ per richiamare l’attenzione sul sito in pericolo. Le adesioni sono già centinaia ma non basta. Giovanni Papasso, il sindaco di Cassano allo Jonio, il centro di cui Sibari è frazione, si è rivolto ieri anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiedendogli di adoperarsi “per risolvere la situazione di emergenza”. Nel piccolo centro calabrese, intanto, è stata un’esplosione di solidarietà, subito concretizzata dall’impegno degli uomini del Consorzio di bonifica di Trebisacce (Cosenza), dei vigili del fuoco del Comando provinciale di Cosenza, della Coldiretti Calabria e della Protezione civile regionale. Per otto giorni, ininterrottamente, giorno e notte, esposti all’intemperie, con alcune grosse idrovore, hanno pompato acqua per liberare i cinque ettari di area archeologica che erano ricoperti dai circa 200 mila metri cubi di acqua mista a fango. Ma ora, guardando la melma e l’acqua che ancora sommergono il sito, il timore che assale studiosi e volontari è che lo splendore dell’antica Sybaris sia ormai compromesso definitivamente.