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Elezioni? No: referendum (sull’Agenda)

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Con la conferenza stampa del 23 dicembre, Mario Monti ha dettato le regole del gioco. Il 24-25 febbraionon ci saranno quelle elezioni politiche che volevano i partiti per rimettere al centro la politica. Ci sarà un referendum sull’Agenda-Monti che verrà resa nota tra qualche giorno.

In questo modo, Mario Monti ha eliminato, nella misura del possibile, gli elementi personalistici : lui infatti non sarà candidato; ma la scelta sarà pro o contro il suo progetto-programma di governo. In questo modo i partiti e i candidati dovranno discutere dell’Agenda e prendere posizione. La conseguenza è che, a parte l’adesione del Centro (che ha tirato un sospiro di sollievo), la pressione si sposterà a sinistra sul Pd e a destra sul Pdl, provocando tensioni e defezioni. Uscito dalla porta, il bipolarismo rientra dalla finestra.

Tutto semplice, lineare, quindi. Ma è proprio così? Per rispondere bisogna spostarsi su due livelli: quello degli elettori e quello dei partiti.

A livello degli elettori, indipendentemente da quanti leggeranno e capiranno l’Agenda, la prospettiva che Monti possa essere incaricato di attuarla attirerà voti sia dalla sinistra moderata, che non vuole rischiare conflitti post-voto con Vendola, sia dal centrodestra moderato che vorrebbe abbandonare le tumultuose e imprevedibili acque berlusconiane. Possiamo quindi dare per scontato che il Centro, che d’ora in poi potrà mettere nel suo simbolo l’Agenda, raccoglierà, a livello di voto popolare, circa il 20%.

A livello di partiti, il discorso è diverso poiché ci sono alcune formalità da sbrigare: l’11 e 12 gennaio ci sarà la presentazione dei simboli elettorali e delle dichiarazioni di collegamento in coalizione con l’indicazione del candidato premier; il 20-21 gennaio si sarà la presentazione delle candidature con le firme necessarie.

La domanda è quanto l’Agenda Monti influirà sulla formazione delle alleanze, indispensabili per conquistare il premio di maggioranza. A sinistra, il Pd di Bersani dirà SI con la riserva che, se vincerà, troverà modo di integrare il contenuto dell’Agenda con quello del suo programma di coalizione; in questa fase, Vendola , che è il principale alleato del Pd, non potrà dissociarsi per non fare perdere la coalizione, poi si vedrà. Ma l’Agenda sarà l’occasione, per i “renziani”, di obbligare Bersani a fare mole e scomode precisazioni.

Più complicala la situazione a destra dove Berlusconi, che si vede scippare il bipolarismo preferito – quello tra la sua formazione e i “comunisti” – dovrà combattere su tutti i fronti: contro Bersani e contro l’Agenda di Monti, alla quale invece potrebbero aderire diversi esponenti del Pdl, in primo luogo se si convincessero di non essere più candidati sicuri e, in secondo luogo, se trovassero accoglienza nelle liste centriste.  Tempo per decidere, poco più di tre settimane. Molte defezioni ridurrebbero drasticamente le possibilità di interdizione del Pdl nella prossima Legislatura.

Infine, gettando il mezzo al campo l’Agenda, Monti i evita (desidera evitare) che il dibattito politico si concentri sul passato, cioè sui tredici mesi dell’azione del suo governo. Sotto questo aspetto, la propaganda del Pd sarà più facile di quella del Pdl poiché Bersani si proietta nel futuro (considerando se stesso in posizione centrale)e trova comodo non apparire troppo corresponsabile nelle decisioni prese dal governo uscente, mentre Berlusconi è costretto a enfatizzare le negatività del governo stesso, trincerandosi dietro la fiducia che gli ha fatto mancare, ma solo all’ultimo.

Fonte GRRG.EU a cura di Alessandro Corneli

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