“La responsabilità diretta dei magistrati si pone in contrasto con la Costituzione”: il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, in prima fila contro la ‘ndrangheta, parla anche di riforma della giustizia, federalismo fiscale e della scuola come arma più importante contro le mafie.
Responsabilità diretta del magistrato. È contrario?
Sono assolutamente contrario alla previsione di una responsabilità diretta del magistrato. Non si tratta di una “difesa” preconcetta della categoria a cui appartengo, ma di un’opinione dettata dal mio senso profondo della giustizia che può essere perseguita solo da magistrati realmente autonomi e indipendenti. L’azione oggi può essere esercitata nei confronti dello Stato, così come avviene in molti paesi, ed è lo Stato a rivalersi nei confronti del magistrato. L’accertamento della responsabilità civile del magistrato comporta peraltro la trasmissione degli atti al Procuratore Generale per l’esercizio dell’azione disciplinare. Sono quindi già previste sanzioni sia in termini risarcitori che in termini disciplinari. Il problema è quello di rendere effettive le fasi successive al giudizio instaurato nei confronti dello Stato e concluso con il riconoscimento della responsabilità civile del magistrato (sia sotto il profilo dell’azione di rivalsa dello Stato, che sotto il profilo disciplinare, ove ricorrano gli estremi di un illecito di tal fatta).
L’Anm, per bocca del suo presidente Luca Palamara, l’ha definita “incostituzionale e una forma intimidatoria e di vendetta verso il libero esercizio della funzione di giudice”. Concorda?
Sono abituato ad affrontare le questioni giuridiche non solo da un punto di vista strettamente teorico, ma anche prettamente pratico. In termini giuridici, la responsabilità diretta dei magistrati, a mio avviso, si pone in contrasto con la Costituzione nella parte in cui prevede che la magistratura è un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è soggetta solo alla legge. Qualunque giudice potrebbe essere destinatario di migliaia di cause pretestuose nelle quali egli dovrebbe difendersi, nel contempo amministrando la giustizia nei casi che riguardano terzi soggetti. In termini pratici, quale autonomia e quale indipendenza può avere un magistrato nei cui diretti confronti possono essere strumentalmente intentate centinaia di cause di risarcimento? Esperire l’azione nei confronti dello Stato significa rispondere anche al principio di buon andamento dell’amministrazione che sarebbe, evidentemente, compromessa ove un giudice dovesse difendere direttamente se stesso e fosse personalmente esposto nei giudizi contenziosi intentati nei suoi confronti.
Quali sono i primi cambiamenti, i più urgenti da fare nel sistema giudiziario?
Non a caso il libro che ho scritto unitamente al prof. Nicaso è intitolato La giustizia è una cosa seria. Sembra scontato ma non lo è. Per affrontare in modo “serio” il problema delle riforme in una fase in cui le risorse sono molte limitate occorre innanzi tutto eliminare gli sprechi. Ha poco senso parlare di riforme radicali senza i mezzi economici per farvi fronte. L’informatizzazione del processo, per fare un esempio, consente un risparmio notevole di costi e la possibilità di destinare maggiori risorse, umane e materiali, a settori della giustizia in situazioni drammatiche. Si tratta di una primo indispensabile intervento, utile sia nel settore civile che nel settore penale.
Nel nord sempre più comuni sciolti per ‘ndrangheta. Due, prima Bordighera ora Ventimiglia, nell’arco di neppure un anno in Liguria, non in Sicilia o Calabria. Il livello di penetrazione della criminalità al nord è oggi la stessa che al sud?
Direi proprio di si, e ciò non per una mia opinione personale, ma per i risultati investigativi di importanti indagini (per ultima l’operazione “Crimine”) che hanno dimostrato come la ‘ndrangheta si sia riproposta con le sue regole, le sue strutture, le sue articolazioni, nelle regioni del nord Italia dove la forza economica della ndrangheta ha la possibilità di esprimersi nelle attività di riciclaggio o di reimpiego. Voglio aggiungere che il nord, più che un’area geografica è l’area più ricca dal punto di vista economico e finanziario. È dunque un luogo ideale che, per certi versi, costituisce il terreno di elezione dell’attività della ndrangheta perchè la ‘ndrangheta persegue arricchimento e potere. L’equazione è semplice: dove c’è arricchimento e potere lì c’è la ‘ndrangheta. E’ un terreno favorevole perchè non ha anticorpi è perchè il fenomeno corruttivo è amplificato dalla maggiore circolazione di denaro rispetto ad altri luoghi. In sostanza la ‘ndrangheta al nord può, se non si interviene massicciamente, affondare come il coltello nel burro. Il punto debole potrebbe essere rappresentato dal fatto che al nord la ndrangheta ha più difficoltà a radicarsi nelle coscienze: crea mercenari ma non “fedeli” soldati. Per questo il fenomeno del pentitismo potrebbe diventare esplosivo.
Il federalismo fiscale è il metodo più facile per consegnare lo Stato alla mafia?
Rispondo provocatoriamente con una proporzione: la ‘ndrangheta sta al federalismo fiscale come Gulliver sta ai nani nel viaggio descritto da Swift. Quello che voglio dire è che la frammentazione dei centri di potere rende ciascuno di essi più debole e permeabile perchè diluisce il potere stesso. Di fronte a un potere frammentato la ‘ndrangheta ha molte più possibilità di ingerirsi e di condizionare l’operato degli enti pubblici.
Contro la mafia bisogna ripartire dalla scuola e dalla cultura. Eppure non si investe. Perché?
Credo a tal punto nell’importanza della cultura e dell’istruzione e nella necessità di partire, nella lotta alla mafia, dalla scuola che dedico buona parte dei miei giorni di ferie a incontrare i giovani negli istituti scolastici. Perchè non si investe in questo settore? Provo a dare una risposta: creare cittadini istruiti e consapevoli significa creare persone non condizionabili, competitive, in grado di esprimere opinioni critiche maturate all’interno delle loro coscienze. Se è vero che l’istruzione è un’arma formidabile contro la mafia, è una pericolosa arma anche nei confronti di coloro che intendono mantenere il potere all’interno di classi limitate di soggetti.
Fonte L’Unità