Alla zona Euro servivano 200 miliardi di euro per aumentare le risorse del Fondo monetario internazionale e indirettamente aiutare i Paesi dell’Euro in difficoltà. Ne ha trovati 150 di cui Italia ne metterà 23,48, mentre la Gran Bretagna si è di nuovo chiamata fuori dal gioco.
La riunione telefonica dei ministri dell’Economia dell’Eurogruppo, poi allargata a tutti i 27, è riuscita a strappare promesse per 150 miliardi di euro a 13 Paesi di Eurolandia (fuori l’Estonia e quelli sotto programma ovvero Irlanda, Portogallo e Grecia) ma non ha potuto assicurare il contributo di Londra, refrattaria da sempre a qualunque mezzo, anche indiretto, per aiutare i suoi vicini della moneta unica. L’Italia sarà il terzo maggiore contribuente mettendo a disposizione il 15,66% dei 150 miliardi totali, dopo la Germania che metterà 41,5 miliardi (27,67% del totale) e Parigi con 31,4 (20,94% del totale). Quarto contribuente la Spagna con 14,86 miliardi di euro, davanti all’Olanda con 13,61 miliardi. Il Belgio è sesto con 9,99 miliardi. Ma non saranno i soli: anche la Repubblica Ceca, la Danimarca, la Polonia e la Svezia hanno indicato la loro volontà di partecipare al rafforzamento del Fmi, ma per alcuni, come per la Svezia, è necessario sottoporre la questione ai Parlamenti nazionali prima di poter prendere una posizione. In ogni caso, secondo il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Juncker, sono i Paesi dell’Euro a dover dimostrare “una particolare responsabilità in questa circostanza”. Se non l’obiettivo di raggiungere 200 miliardi di euro, l’Europa ha almeno rispettato la scadenza che si era data: il 9 dicembre, i leader dei 27 avevano annunciato che avrebbero trovato i fondi per rafforzare l’Fmi entro dieci giorni. E oggi é arrivata la conferma, a riprova della volontà di fare in fretta che l’Eurozona vuole dimostrare, per rassicurare i mercati, i partner internazionali e cercare di riportare le borse in territorio positivo. Ma come già il 9 dicembre, la volontà dell’Europa si scontra con quella della Gran Bretagna. Il cancelliere dello scacchiere George Osborne, durante la teleconferenza con i suoi colleghi, ha detto un nuovo ‘no’: Londra, a cui l’Europa aveva chiesto 30 miliardi di euro, non è disposta ad aumentare il suo contributo al Fmi e ha rimandato qualunque decisione al prossimo G20, dimostrando ancora una volta di sentirsi più vicina ai partner oltreoceano che a quelli oltremanica. Prima di versare altri soldi al Fondo, la Gran Bretagna vuole che prima di tutto che l’Eurozona rafforzi il fondo salva-Stati Efsf. L’aumento delle quote del Fmi è il ‘trucco’ che l’Europa ha trovato per cercare di costruire un ‘firewall’ credibile, ovvero un’arma sufficientemente potente da contrastare un eventuale fallimento di un Paese più grande della Grecia. Quello che chiedono i mercati, secondo gli analisti, è proprio ‘cash’ pronto a sostenere i Paesi in difficoltà. Non austerità, non complicate riforme dei Trattati per aumentare il rigore e la disciplina di bilancio. Per rassicurare gli investitori, occorre dimostrare loro che anche se un Paese dovesse crollare sotto il suo debito, c’é qualcuno pronto a garantire per lui. Per il presidente della Bce Mario Draghi, come ha ricordato anche oggi, quel ‘firewall’ dovrebbe essere il fondo salva-Stati Efsf e poi l’Esm, cioé la sua versione permanente che è stata anticipata a metà 2012 invece di entrare in vigore nel 2013. Ma tutte le decisioni per rafforzare il fondo non hanno mai convinto abbastanza i mercati, per cui l’Europa ha volto lo sguardo al Fmi, guardiano sufficientemente rassicurante, dotato ora di 150 miliardi in più, ovvero il 20% in più della precedente quota di partecipazione di Eurolandia.