Contemplare, attoniti, la nazione nella quale viviamo. E alla fine sentirci in un solo modo: «decapitati». È così che Giovanni Floris ammette di percepire se stesso e quelli che lo circondano in questo periodo. Non a caso è il titolo che ha scelto per il suo ultimo libro:Decapitati. Perché abbiamo la classe dirigente che non ci meritiamo(Rizzoli). Il conduttore di «Ballarò» compie un viaggio nella classe dirigente italiana, per bocciarla (quasi) in toto. Scrive Floris: «Suonano lontane le parole di Alcide De Gasperi: “Badate che nella vita pubblica non importerà tanto quello che voi direte, ma quello che voi sarete”. In questi 60 anni chi lo ha ascoltato? In pochi, tra i politici di oggi. E in pochi anche tra noi cittadini, che in qualche modo li abbiamo scelti e tollerati». Risultato disarmante: «Ora i nostri capi si stanno incamminando sul viale del tramonto: politica, economia, cultura, da dove viene la crisi di leadership che ha decapitato l’Italia?».
È una storia della nostra Repubblica, quella che tratteggia Giovanni Floris, evidenziando le molteplici dicotomie italiane: Cavour e Garibaldi, Agnelli e Marchionne, Totti e Baggio, Riina e Giovanni Paolo II. Le tante volte in cui la fiducia è andata (sbagliando) all’Uomo della provvidenza, e quelle in cui invece sul ponte di comando sono finiti leader normali: i De Gasperi e i Pertini, i Ciampi e gli Amato. Secondo Floris quelli che, più di tanti altri, sono riusciti a tirar fuori il Paese dalla crisi in cui versava. Da promuovere, per lui, poi, sono soprattutto gli «eroi senza megafono». Due esempi su tutti: Carlo Rosselli e Giorgio Ambrosoli. Storie quanto mai attuali, le loro, e alle quali ispirarsi per individuare un criterio attraverso il quale tentare di costruire una nuova classe dirigente. Che infatti, per il conduttore di «Ballarò», è ciò che serve con maggiore urgenza. Il quesito più difficile al quale rispondere, però, è uno solo: dove cercarla? Scrive Floris: «In mancanza di investimenti sulla formazione, bisogna ripartire da quello che c’è: gli uomini e le donne italiani. Da quello che fanno, quindi dalle loro professioni. Da quello che pensano, quindi la loro attuale formazione politica e culturale».
Esiste poi, secondo l’autore di Decapitati, un forte parallelismo tra l’attuale periodo storico italiano, caratterizzato dal berlusconismo, e la fase craxiana degli anni Ottanta: «A partire dalla modernità tanto agognata e mai raggiunta, che a quei tempi sembrava impersonata dal Psi di Craxi e in questi anni dal pluribattezzato partito di Berlusconi». Adesso, invece, siamo in una fase di transizione, dove «la prossima leadership verrà raccolta, non conquistata… La mia idea è che questo Paese non verrà preso di slancio da un uomo forte, ma consegnato dagli elettori a chi avrà il coraggio di sobbarcarsi una nazione messa in ginocchio da una crisi pesantissima». L’Obama italiano, dunque? «No, una semplice persona per bene che si slanci oltre». Ma il primo passo «tocca ai cittadini: occorre la capacità di diventare un po’ leader di se stessi. Ognuno nella sua vita deve riprendere il coltello dalla parte del manico e ricordarsi che il potere dei capi poggia sulle spalle di chi è comandato». Per non farsi più decapitare.
Angela Frenda Corriere della Sera