“Se guardiamo a ritroso nella nostra storia, scopriamo che è cadenzata da una serie di “casi” che, tuttavia, dal momento che sono proprio questi “casi” a determinare tutto il prosieguo della nostra vita non possiamo non cogliervi dei “segni” che configurano un “disegno”, al punto da assumere la consapevolezza che “il caso” non è affatto fortuito, bensì corrisponde laicamente al nostro “destino” mentre cristianamente cela la mano della Divina Provvidenza che ci illumina della nostra “missione”. Condivido al riguardo l’allegoria con cui il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, nell’omelia pronunciata nel 2008 in occasione dei suoi 80 anni disse che “il caso è il travestimento scelto da Dio per passeggiare in mezzo a noi restando in incognito”.
Come non cogliere un “segno” nella decisione di mia madre Safeya, lei che da giovane donna egiziana, musulmana praticante, orfana, sfortunata con il proprio matrimonio, povera ma dignitosa, grazie all’aiuto della facoltosa famiglia italiana Caccia, titolari di un’azienda tessile al Cairo, la mia città natale, presso cui lavorava come governante della loro figlioletta Cinzia, scelse nel 1956 quando avevo quattro anni di affidarmi all’educazione e alla cura delle suore comboniane, cattoliche e italiane, nella certezza che i valori che mi avrebbero trasmesso erano da lei condivisi? Fu proprio quella scelta ad avviare un percorso che per 14 anni mi ha portato a studiare e a vivere in collegio prima dalle suore comboniane e, a partire dalla quinta elementare fino alla maturità scientifica, dai sacerdoti salesiani, consentendomi sia di nutrire un sincero amore per l’Italia percepita come la patria della libertà e della civiltà, sia di coltivare un’autentica spiritualità cristiana che mi ha donato una concezione etica dell’esistenza che mette al centro la persona fatta a immagine e somiglianza di Dio da rispettare e valorizzare sempre e comunque in quanto incarna la verità del creato, l’amore che sostanzia la nostra stessa ragion d’essere, la sacralità della vita che è il fondamento della nostra umanità, la dignità della persona che è la base della costruzione sociale, la libertà di scelta che è il fulcro della civiltà umana.
Ciò che ha ispirato il mio percorso spirituale e umano sin da piccolo è il fascino della verità e la passione per la libertà. Il fatto che sia nato musulmano, da genitori musulmani, in un Paese arabo a maggioranza islamica, ma che al tempo stesso ho studiato e vissuto in un microcosmo d’Italia italiano e cattolico, mi ha sollecitato sin da piccolo a ricercare la verità, a pormi la domanda quale delle due religioni, delle due culture e delle due civiltà corrispondesse alla verità. E’ fondamentale sottolineare che la domanda e la risposta sulla verità nascono e poggiano nell’incontro con delle persone speciali, degli autentici testimoni di fede che mi hanno affascinato. Nel caso dell’islam è stata mia madre, una donna straordinaria che scelse di donare tutta se stessa per consentirmi di avere una migliore qualità d’istruzione ed un più elevato tenore di vita, a coltivare in me il fascino dell’islam dal momento che lei s’ispirava a quella religione e in essa trovava il conforto per dare un senso a un’esistenza fatta di sacrifici e talvolta di umiliazioni. Così come furono degli autentici testimoni cristiani, suore comboniane e sacerdoti salesiani, a nutrire in me il fascino di Gesù Cristo nel loro tendere quotidiano a rivivificarlo attraverso la predicazione della sua verità, affermando con l’esempio dei valori non negoziabili, perseguendo tramite le opere buone il traguardo del bene comune.
Ed è nella ricerca della verità che ho scoperto la passione per la libertà. Compresi che per pervenire alla verità dobbiamo essere degli spiriti liberi, capaci di guardare in faccia alla realtà oggettiva senza mistificarla con i filtri ideologici o i pregiudizi. Fino a maturare la consapevolezza che verità e libertà sono due facce della stessa medaglia, nel senso che così come non potremmo cogliere la verità in assenza della libertà, non vi può essere la libertà che non si fondi sulla verità. Un binomio indissolubile che, dopo il mio battesimo, ho ritrovato nel passo tratto dal Vangelo secondo San Giovanni che recita “Conoscerete la verità e la verità vi renderà liberi” (….)
Il binomio indissolubile di verità e libertà ha ispirato il mio lungo percorso giornalistico, protrattosi per circa 35 anni, culminato nella vice-direzione del Corriere della Sera. Per me il giornalismo è stato essenzialmente una voglia immensa dell’incontro autentico e profondo con la persona quale incarnazione della vita e dell’amore, nella ricerca appassionata della verità salvaguardando sempre e comunque la libertà interiore. Ho misurato il mio successo giornalistico nel riuscire, giorno dopo giorno, ad aggiungere persone nuove realmente incontrate e che scelgono di aprirsi con me, finendo per entrare a far parte di una famiglia allargata fatta di fraternità e di solidarietà.
E’ stato soprattutto l’incontro con il pensiero e la persona di Benedetto XVI a farmi scoprire il secondo binomio indissolubile di fede e ragione. Il Santo Padre dimostra la sua unicità quale autentico testimone di fede e ragione nella sua capacità a confermarci, partendo dalla ragione, che i valori non negoziabili sostanziano l’essenza della nostra comune umanità e che al tempo stesso sono parte integrante dell’autentica fede cristiana. La straordinarietà del cristianesimo risiede proprio nel fatto che fede e ragione convivono armoniosamente, riflettendo l’unitarietà e la simbiosi del Dio che sceglie di farsi uomo.
Da quando nell’aprile del 2003 lo Stato italiano decise di affidarmi una scorta gestita dall’Arma dei Carabinieri, notificandomi una condanna a morte decisa dal movimento terrorista islamico Hamas per la mia denuncia pubblica del terrorismo suicida che massacra gli israeliani, sono stato costretto ad approfondire la conoscenza del Corano e di Maometto, dal momento che coloro che condannano a morte invocano i versetti del loro testo sacro ed evocano le gesta del loro profeta. Ho dovuto riconoscere che loro hanno assolutamente ragione perché effettivamente il Corano è pieno di incitamenti all’odio, alla violenza e alla morte nei confronti dei non musulmani, così come effettivamente Maometto si è reso responsabile di crimini contro l’umanità massacrando coloro che non si sottomettevano al suo arbitrio, come quando nel 628 partecipò personalmente allo sgozzamento e alla decapitazione di circa 800 ebrei della tribù dei Banu Quraiza nei pressi di Medina.
Ho pertanto ripudiato pubblicamente l’islam prendendo atto che è fisiologicamente violento, incompatibile con i diritti fondamentali della persona e i valori non negoziabili, così come è storicamente conflittuale per la determinazione a sottomettere il prossimo costi quel che costi. Tuttavia sono del tutto convinto che dobbiamo distinguere nettamente tra la dimensione della religione e la dimensione delle persone che non sono mai la trasposizione automatica e acritica dei dogmi della fede. Pur nella consapevolezza che non esiste un islam moderato, sono certo che ci sono dei musulmani moderati con cui si può e si deve dialogare e convivere, sulla base della condivisione dei valori non negoziabili, del rispetto di regole che sostanziano diritti e doveri che garantiscono e vincolano tutti indistintamente, del perseguimento del bene comune. Sono pertanto contrario sia al relativismo religioso che ci porta, partendo dall’imperativo dell’amore per il prossimo, a sposare legittimandola la religione del prossimo anche se i suoi contenuti sono incompatibili con i valori non negoziabili, sia alla deriva del razzismo che, partendo dalla condanna della religione del prossimo, sfocia nella condanna dell’universo delle persone che ad essa fanno riferimento come se fossero dei cloni e formassero un blocco monolitico.
Il dono del battesimo e il regalo incommensurabile del riceverlo dalle mani del Papa nella notte della Veglia pasquale il 22 marzo 2009, ha rappresentato lo spartiacque nella mia vita. Da allora tutto è cambiato dentro e fuori di me. Nel mio tendere sempre più alla verità di Cristo, ho maturato il convincimento che fosse arrivato il momento di passare dalla testimonianza della verità nella libertà tramite la scrittura o la parola, alla testimonianza tramite le opere. Ancora una volta non considero un caso che subito dopo il mio battesimo Benedetto XVI per due volte lanciò un appello alla presenza di una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica.
Il 30 novembre 2008 all’Hotel Aldero di Fabrica di Roma, in provincia di Viterbo, annunciai la nascita insieme a cinquanta soci fondatori del movimento di testimonianza identitaria e di impegno culturale “Protagonisti Per l’Europa Cristiana”. Il 28 e il 29 novembre 2009 all’Hotel Le Robinie a Solbiate Olona, in provincia di Varese, è stato deciso all’unanimità da parte di circa 250 delegati la confluenza in un nuovo movimento politico, “Io amo l’Italia”, con l’obiettivo di tradurre in fatti la verità che si afferma e i valori in cui si crede. Questa scelta di impegno nella politica si traduce nel convincimento che ciascuno di noi per realizzarsi pienamente deve corrispondere ad una dimensione olistica che coniuga armoniosamente la conoscenza, i valori e le opere.
“Io amo l’Italia” s’impegna ad affermare una concezione etica della cultura politica affinché sia effettivamente servizio alla collettività, a favorire un nuovo modello di sviluppo che si ispiri all’economia sociale di mercato coniugando la libertà d’impresa con il bene comune, a promuovere un nuovo modello sociale che metta al centro la cultura della vita. “Io amo l’Italia” ambisce ad essere il punto di riferimento e di certezza dei valori non negoziabili che sostanziano l’essenza della nostra umanità e delle regole che sono alla base della nostra civiltà. “Io amo l’Italia” è un movimento politico confederale, aperto al concorso di tutte le persone di buona volontà, di tutte le associazioni e dei movimenti che condividono i valori non negoziabili, credono nella certezza delle regole e perseguono il bene comune. “Io amo l’Italia” si presenta come soggetto politico rappresentativo del territorio in cui si radica assumendone la denominazione, ad esempio “Io amo Bologna” o “Io amo la Sicilia”, mantenendo sempre il legame indissolubile con il movimento nazionale il cui nome resta fisso nella parte sottostante il logo che ritrae la bandiera italiana con una grande croce stilizzata gialla, ideato e disegnato da Giorgio Forattini.
Alle elezioni europee del 6 e 7 giugno 2009 sono stato eletto deputato al Parlamento Europeo, dopo essermi candidato da indipendente a capolista della lista dell’Udc nella circoscrizione del Nord-Ovest, aggiudicandomi circa 40 mila voti. Il 28 e il 29 marzo 2010 mi sono candidato alla presidenza della Regione Basilicata conquistando circa il 9 per cento dei consensi pari a circa 30 mila voti.
Il mio impegno, alla guida di “Io amo l’Italia”, è di promuoverlo a soggetto politico nazionale quale punto di certezza sul piano dei valori non negoziabili e della certezza delle regole, capace di attrarre il consenso da parte di tutti coloro che sono nauseati o disillusi dalla politica o che vivono con sofferenza la loro presenza nelle formazioni di destra, di centro e di sinistra che si sono ridotte ad essere consorterie d’affari senza alcuna specificità valoriale e identitaria. Contemporaneamente mi impegnerò per dare un’anima all’Europa, affinché cessi di esistere un semplice colosso di materialità che si vergogna della verità storica delle proprie radici giudaico-cristiane, che svende i propri valori e tradisce la propria identità”.
Ciao Magdi, complimenti. Sei una persona coerente e coraggiosa e l’Italia ha bisogno di persone come te. Buon lavoro.