Se l’Italia fosse un Paese conosciuto ed apprezzato per il rispetto che ciascuno, persona fisica, associazione, ente pubblico o privato, tifoseria di calcio, comunità che sia, ha verso gli altri, per la lealtà nei rapporti, per lo spirito dialettico nel riconoscere i propri torti e far valere civilmente le proprie ragioni, riconoscere le proprie perdite e mettere a frutto di tutti i cittadini le proprie vittorie;
se l’Italia fosse un Paese non divorato da odi e rivalse, non intriso di veleni e congiure, non condizionato da criminalità, ricatti, non soggetto a poteri occulti, gerarchie ecclesiastiche, interessi inconfessabili; se fosse un Paese senza ottusa arroganza, sospetti, mancanza di fiducia in se stessi e nel futuro… un Paese dove stragi ed attentati avessero unanime condanna e non fossero considerati qua e là come rimedi per aggiustare qualcosa… ecco, se l’Italia fosse un Paese così, allora potrebbe avere un Governo.
La pausa è ad effetto. Non è che l’Italia non possa avere un Governo. Il punto è quale Governo? Come avere un Governo?
Se l’Italia fosse così andrebbe bene per essa, onde giungere ad un assetto di Governo, il sistema elettorale maggioritario.
Ma l’Italia non è così. E’ un Paese diverso. Ha anche grandi qualità, grande capacità di fronteggiare le difficoltà, di affrontare l’imprevisto, improvvisare, arrangiarsi. Tutti i popoli produttivi, incasellati, bravi a far muovere la macchina di un Paese, ci invidiano queste caratteristiche; l’Italia è caratterizzata da un fortissimo individualismo e da una grandissima forza speculativa e meditativa, ha divisioni interne ataviche, certamente risalenti oltre il dominio di Roma, e dopo la caduta dell’Impero ancora parcellizzatesi in Comuni, Feudi, Principati, quindi in Stati sovrani, Repubbliche marinare, Granducati assolutamente indipendenti reciprocamente e fonte, essi sì, di grandissima civiltà nell’amministrazione e nel diritto, nelle scienze applicate, architettura, mestieri, arte e letteratura; divisioni nei sistemi di vita pubblica e privata (anche a questo e non solo alla volontà di emergere e prevaricare è dovuto il proliferare di correnti e partiti, dai liberali ai democratici, ai radicali, ai socialisti ecc.).
Il popolo italiano ha nel suo DNA prassi e abilità compromissorie, risalenti probabilmente alle necessità di convivenza di popoli confinanti, che non sono automaticamente deleterie, e quindi non sono da frustrare, sono da analizzare: sui principi non c’è e non può esserci compromesso, ma sullo smussamento di angoli per la vita sociale, dove c’è un po’ di ragione anche nelle argomentazioni del tuo contraddittore, sono da valorizzare. Questo ad esempio sarebbe un terreno di incontro e di positivo sviluppo relazionale tra Nord e Sud, altro che il razzismo latente della Lega e l’odio anche abbastanza palese dell’integralismo meridionalista. Inoltre l’Italia è la Patria di Machiavelli.
Morale: nel sistema elettorale maggioritario, l’Italia dà il peggio di sé.
Chi vince considera l’avversario non qualcuno che potrà poi essere d’aiuto dialetticamente nel governare, in quanto c’è del buono anche nelle sue ragioni, e tendenzialmente vuole, a sua volta, con diverso percorso, il bene del Paese, bensì un nemico giurato da abbattere in tutti i modi, anche attraverso i mass media, l’isolamento, la frustrazione di tutto il patrimonio intellettuale, artistico, scientifico addirittura (o non ufficiale o antiscientifico – ricordate il caso Di Bella?), che a quel diverso schieramento si richiama.
Un muro contro muro, dove ognuna delle due parti disprezza e diffida dell’altra. Ogni volta, quindi, per tutta la durata della legislatura, mezza Italia conta e, sapendo di potersi avvalere dei propri privilegi sfrenatamente, non si fa scrupolo di abusarne; mentre l’altra metà soffre senza rimedio.
Un continuo andare alla ricerca di quella manciata di voti che ti permette di rimanere al potere, perché il potere è utile e necessario, ma non c’è nulla che corrompa di più, che scavi di più nelle coscienze e negli interessi di persone che, una volta assaporata la manna non vogliono mollarla più; quindi continui pescaggi anche nel campo avverso, con metodi assolutamente inaccettabili sul piano della buona politica, del governo della polis, prima ancora che sul piano etico e giudiziario; con conseguenti squallidi ribaltoni.
Vi è accentramento di potere oligarchico, per cui importanti posizioni, ma anche meno importanti ma utili per lavorare, vengono occupate, non in base ai meriti e alle capacità, ma per nepotismo, a volte virulento, come attualmente in corso, o scambi di favori anche con ricorso a prestazioni sessuali, e vi è spreco oltre ogni misura in tutti i campi perché essendovi solo attori e non controllori, o meglio controllori appartenenti allo stesso campo degli attori, ogni freno è miracolistico, un mero regalo.
In definitiva il “maggioritario” non va bene per l’Italia, è adatto a Paesi con un più forte e consolidato senso dello Stato e una più consistente partecipazione democratica.
Secondo me calza a pennello ai popoli anglosassoni, in testa gli Americani, rodati, forse dalla lotta agli Inglesi prima e dalle dure ferite della guerra di secessione, poi, nel drammatico crogiuolo dell’aspra e tormentata c.d. “conquista del West”, caratterizzata anche dalle indelebili piaghe di vergogne e barbarie, come è noto, con il conseguente rimorso e la, probabilmente vana, aspirazione alla catarsi e al perdono che si legge in tutti i monumenti e gli affreschi dei loro edifici pubblici; queste caratteristiche degli Americani non ci riguardano minimamente, eppure insistiamo nello scimmiottare il loro sistema elettorale (anche se non avremmo nulla da imparare) senza riuscire ad uguagliare i maestri, perché abbiamo i meccanismi ma non lo stesso spirito, così come ci abbiamo proprio tenuto a scimmiottare nel campo penale processuale, il loro rito accusatorio, ottenendo, per lo stesso motivo, un vero fallimento. Ma non vado oltre su questo punto, essendo una mia semplice illazione.
Allora che cosa si dovrebbe fare?
Io dico…. ma lo dico, non come dato di fatto, bensì in senso dialettico, senza nessuna velleità pontificatoria, come spunto di riflessione e di discussione: l’Italia dovrebbe reinventarsi il sistema proporzionale.
Molte ombre nel passato, lo sappiamo tutti, ma anche molte buone cose sono state fatte, senza scontentare la netta maggioranza degli Italiani, come avviene adesso, a favore di chi si è trovato in una minoranza che per aver ottenuto il risultato di essere la più votata tra le minoranze promuove se stessa a discapito di tutti gli altri e tiene in mano le sorti del Paese.
Ecco, se il sistema proporzionale fosse rielaborato, sfrondato dalle incrostazioni che, in passato, hanno portato alla radicalizzazione e alla inamovibilità delle forze politiche più forti, questa potrebbe essere l’invenzione, l’originalità, la novità dell’Italia, un futuro tutto da immaginare avvalendosi degli strumenti del passato. Perché no? Il nostro passato è forse tale da doverlo seppellire sotto un macigno? Una pietra tombale che abbiamo paura di rimuovere perché temiamo possano uscire i fantasmi che sotto di essa si annidano? Credo proprio di no.
Credo proprio che, con le avvertenze appena formulate, nel “proporzionale” l’Italia darebbe il meglio di sé.
Certo bisognerebbe studiarci seriamente e spregiudicatamente sopra, bisognerebbe armarsi di una grande onestà intellettuale, di un grande amore per il nostro Paese (ahimé sempre tiepido e sporadico) e, qui sì, di voglia di fare.
Bisognerebbe, ad esempio, approfondire quali sono le differenze che permettono, invece, nelle elezioni amministrative, al “maggioritario” di funzionare alla grande, come mi viene fatto osservare.
Ebbene anche qui ci sono delle considerazioni da fare, sempre con il beneficio d’inventario, s’intende: Governare è concetto diverso da Amministrare.
Ricorro ad un esempio, non potendo qui affrontare esaustivamente le tematiche: chi amministra è come il comandante di una nave, che deve condurre a buon fine il suo compito senza intoppi; inoltre tra i due valori da proteggere, quello della buona riuscita della navigazione e quello del massimo tasso di democraticità a bordo, è del tutto naturale privilegiare il primo in assenza di controindicazioni di carattere generale e di rischi concreti, perché il comandante di una nave, potrà decidere della sua rotta e delle regole di bordo, ma non potrà mai disporre a suo piacimento della nave.
Chi governa, invece, è come l’armatore della nave; un buon armatore valorizza i beni materiali e ideali di cui dispone, un cattivo armatore può anche fallire (gli esempi si sprecano). Quindi se si dovessero stilare regole per la scelta di un armatore, queste non dovrebbero fermarsi al “non disturbate il manovratore”, ma dovrebbero tener conto di una serie di componenti e variabili interne ed esterne: le intenzioni, i rapporti, le capacità, il consenso più ampio ecc.
Si potrebbe quindi ipotizzare un sistema maggioritario per le elezioni amministrative e uno proporzionale per le politiche? Non so dare una ferma risposta. Mi limito a dire: perché no?
Concludo ora, non potendo ulteriormente addentrarmi, con una nota, un augurio da cittadino:
Quale che sia il modo con cui si andrà a votare in futuro, non avvenga mai (o mai più) che il parto, il risultato delle elezioni, non sia altro che un caporale (come diceva Totò), un “capetto”, un “ducetto” pure con velleità riformatrici e ammodernatici, ma, per ataviche carenze attitudinali, limitatezze intrinseche derivanti dalla Storia, dal disperso e diffidente substrato sociale,. assolutamente incapace. Lasciamo perdere, per un momento, l’autoritarismo, il decisionismo.; intendo qui riferirmi alla chiusura mentale, all’ottusità di un Pinochet, di un Franco, dei “colonnelli” greci, in contrapposizione alla lungimiranza, all’amor di Patria e dei suoi compatrioti, alla conduzione illuminata della Res publica di un De Gaulle.
Per tutti i motivi esaminati, ben difficilmente in Italia debordando dagli schemi più squisitamente democratici si perverrebbe a mettere il potere nelle mani di un De Gaulle, piuttosto che di un Pinochet, o di un direttorio di tipo “greco”. Con l’avvertenza, anche qui, che non bisogna enfatizzare gli aspetti economici, peraltro, a loro volta, importantissimi, l’economia non è tutto; anzi, rispetto alla vita dei cittadini, al loro futuro, alla loro dignità e considerazione all’interno del Paese e nel Mondo, è ben piccola parte. il Cile uscì dalla dittatura economicamente rafforzato, almeno nel medio periodo (ma non la Spagna di Franco che dovette recuperare con sforzi immani, riuscendovi con alterni risultati, il terreno perduto), ma a quale prezzo?